Anche se nuove preoccupazioni internazionali hanno preso il sopravvento mediatico non bisogna colpevolmente dimenticarsi che in Siria è in corso di svolgimento una guerra che dura oramai dal 2011. Alla fine del 2017 era stata sostanzialmente proclamata la vittoria contro lo Stato islamico, ma alcune zone continuano a vivere scontri praticamente quotidiani con i gruppi terroristi.
A quanto sopra ci si aggiunge un interesse coincidente su una zona cruciale per l’intera macro area, e una vera e propria crisi umanitaria i cui contorni non sono ancora ben noti.
Le origini della guerra civile siriana
La crisi siriana è formalmente iniziata il 15 marzo 2011, con le prime dimostrazioni pubbliche contro il governo centrale, in un clima fortemente influenzato dalla c.d. “primavera araba”. Le rivolte sono poi scaturite in una guerra civile l’anno successivo, con il conflitto che è evidentemente tuttora in corso.
Inizialmente le proteste avevano come obiettivo quello di spingere alle dimissioni il presidente Bashar al-Assad, ma con il passare degli anni lo scontro si è esacerbato con l’aggiunta di una componente estremista di stampo salafita, che grazie anche al supporto di alcune nazioni sunnite, ha rappresentato la parte più aspra dell’opposizione, con l’obiettivo di instaurare nel Paese la Sharia.
Come conseguenza della posizione strategica del Paese, e dei suoi legami internazionali, molti Paesi anche non confinanti hanno deciso di intervenire nel delicato scenario che si è creato.
L’intervento della comunità internazionale
Il governo siriano e l’opposizione sono stati oggetto di diverse operazioni di sostegno militare, logistico e diplomatico da parte di Paesi, confinanti e non confinanti.
Per esempio, le forze ribelli che hanno come riferimento la Coalizione nazionale siriana sono sostanzialmente appoggiate da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e i più importanti Stati sunniti del Medio Oriente, come l’Arabia Saudita e la Turchia, con alcune nazioni che hanno finito con l’appoggiare anche le fazioni più integraliste.
Di contro, il governo di Damasco riceve un sostegno, anche finanziario, oltre che politico e militare, da Russia e Iran.
Due problemi fondamentali: i rifugiati e i danni economici
In un clima di grande tensione, di tregue violate e faticosamente mantenute, sono due i principali problemi che le autorità siriane e la comunità internazionale dovranno fronteggiare: la gestione dei numerosi rifugiati di guerra e i danni economici subiti dal Paese.
Per quanto concerne i rifugiati, le stime sono piuttosto aleatorie nell’individuarne un numero con precisione. Si tratta comunque di milioni di persone, accolte da diverse nazioni europee (e non solo), e in parte desiderose di ritornare in patria una volta che la situazione di guerra civile e di crisi sarà risolta. In merito, il governo siriano aveva presentato una legge che prevede l’esproprio di tutte le proprietà ai rifugiati che non hanno scelto di tornare in Siria entro breve tempo. Una posizione evidentemente contestabile, considerato che per i rifugiati tornare in Siria e rivendicare la propria proprietà significherebbe esporti al rischio di vedersi contestata la mancata partecipazione alla guerra.
Per quanto concerne invece i danni economici, le autorità dell’ONU hanno stabilito che la guerra in Siria ha per il momento causato danni economici per oltre 350 miliardi di euro. Anche in questo caso si registra la posizione del governo siriano, che ha affermato che il Paese sarà in grado di ricostruire da solo il Paese, senza la necessità di investimenti da parte delle nazioni che avrebbero finanziato le forze ribelli. Assad ha infatti indicato la possibilità di essere in grado di reperire fondi dai Paesi amici, oltre che dal tesoro statale (il cui reale ammontare è tuttavia ignoto) e dalla confisca dei beni ai rifugiati, come sopra anticipato.