Nonostante il 70% dei lavoratori abbia espresso una valutazione positiva sui benefit messi a disposizione dalle aziende, emerge dalla ricerca che il welfare non stia ancora esprimendo appieno le proprie potenzialità. Evidenza che dipende anche dal fatto che i diretti interessati non sempre sono chiamati a intervenire nell’elaborazione delle politiche di welfare aziendale.
Ne consegue dunque la necessità che tutte le parti (impresa, sindacato, legislatore) si attivino per un ripensamento del welfare come strumento sociale rispetto al quale il sindacato riveste un ruolo centrale. È stato ritenuto urgente inoltre che si favorisca una maggiore integrazione del welfare pubblico anche attraverso un welfare territoriale.
La ricerca ha riguardato un panel di circa 70 aziende (la maggior parte delle quali di grandi dimensioni, con oltre 250 dipendenti) e un campione di 1.822 lavoratori, suddivisi tra impiegati (49%), operai (45%) e quadri (6%). Circa la metà delle imprese analizzate opera nel settore manifatturiero, le altre si dividono tra gli ambiti dei servizi, del commercio e delle costruzioni.
Alla domanda se questi sono stati informati in azienda rispetto al tema, più di un terzo degli intervistati risponde di essere pienamente consapevole dell’argomento. Il 45% del campione sottolinea, però, di essere informato soltanto a grandi linee e il 9% di non essere affatto a conoscenza delle iniziative volte a incrementare il benessere del dipendente e della sua famiglia.
I meno informati risultano essere gli operai: il 28% di loro dichiara, infatti, di conoscere poco o nulla del tema, contro il 20% degli impiegati e l’8% dei quadri. Allo stesso modo, sale al 12% la quota di operai che ritiene che i lavoratori in azienda non siano stati adeguatamente formati sull’argomento.
Poco più della metà dei lavoratori coinvolti (55%) fruisce delle prestazioni di welfare aziendale disponibili. La fruizione dei servizi, inoltre, non riguarda allo stesso modo tutte le categorie di lavoratori: all’aumentare dell’inquadramento lavorativo e del titolo di studio aumenta anche la fruizione (per i quadri 66% e per chi possiede una laurea 62%). A usufruirne maggiormente sono le donne (61%) e le famiglie con figli (59%). La percentuale di uomini si attesta intorno al 52%.
Molto interessanti i dati relativi ai motivi del mancato utilizzo dei servizi di welfare: il 39% degli intervistati ritiene che tali strumenti non intercettino gli attuali bisogni; il 38% preferisce ricevere somme in denaro (seppur soggette a una tassazione più elevata) invece dei benefit; il 16% dichiara di non essere a conoscenza della possibilità di fruire delle iniziative.
Gli interventi che presentano il maggior grado di soddisfazione da parte degli intervistati sono: la mobilità casa-lavoro, i mutui e i prestiti, oltre ai servizi su educazione e istruzione. Tra quelli maggiormente diffusi ci sono i fringe benefit (28%), l’educazione e l’istruzione (25%), la previdenza assicurativa (21%) e l’assistenza sanitaria (20%).
Dalla ricerca emerge una valutazione positiva rispetto all’utilità delle iniziative di welfare (espressa dal 70% degli intervistati). Tra gli utilizzatori, il 70% ritiene che l’introduzione di tali provvedimenti abbia comportato benefici in termini economici e il 43% di benessere generale. Infine, per il 31% degli intervistati il welfare ha contribuito a migliorare il rapporto con l’azienda, mentre per il 27% ha agevolato il senso di appartenenza del dipendente all’impresa.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT)
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