Case green, serve cautela ma scelta inevitabile

Strasburgo, La sede del Parlamento Europeo. Nella foto l'emiciclo nella sede del Parlamento Europeo di Strasburgo nella quale si svolgono le sessioni plenarie. (Strasburgo - 2012-02-16, Francois Lafite / ipa-agency.net) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

di Giuliano Zoppis
ROMA (ITALPRESS) – Cinque milioni di edifici da rifare, con una spesa che potrebbe collocarsi fra i 35 e i 60 mila euro per singola unità: ragionando terra terra, in modo molto diretto, è questo l’effetto principale che la direttiva “case green”, approvata in settimana dal Parlamento europeo, potrebbe avere per i cittadini italiani. Il provvedimento, atteso alla ratifica formale del Consiglio Ecofin il 12 aprile, e dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale entrare in vigore entro due anni con il recepimento dei parlamenti nazionali, prevede un calendario molto rigido per far sì che il parco immobiliare europeo arrivi entro il 2050 ad emissioni zero. Un taglio del 16% entro il 2030, del 20-22% entro il 2035. Rispetto alla versione iniziale di un anno fa la normativa è stata ammorbidita con due novità fondamentali. In primis non è più previsto un rigido diktat dall’alto, ma ogni Stato dovrà varare un suo piano nazionale per giungere all’obiettivo finale. In secundis sono state tolte le classi energetiche come riferimento fondamentale, ma previsto che almeno il 55% della riduzione nociva dovrà essere ottenuta con la ristrutturazione degli edifici che consumano più energia.
La preoccupazione per obiettivi così stringenti da raggiungere deve essere però temperata con la considerazione che la direttiva (approvata a maggioranza con il no dei partiti di centro destra) non prevede limiti di vendita o affitto per edifici non riqualificati. Infatti la possibilità di prevedere sanzioni per inadempimento delle norme rappresenta un vincolo per gli Stati membri e non per cittadini. Insomma una eventuale procedura di infrazione nei confronti degli Stati e non per i singoli, che non avranno obblighi diretti di ristrutturazione degli immobili. Si dovrà comunque provvedere a riqualificare il nostro patrimonio molto vetusto: su 12 milioni di edifici il 43% è come abbiamo detto da rifare, 3,1 milioni sono stati edificati prima del 1945, 1,8 prima del 1918, e fanno parte ovviamente delle due classi energetiche peggiori, la F e la G. Vero che sono state previste esenzioni da parte della direttiva: edifici religiosi, storici, eretti per scopi difensivi, agricoli. Esentate anche le seconde case, usate per meno di 4 mesi all’anno.
Ma esclusioni e rimedi possibili non possono cancellare l’inadeguatezza attuale del nostro patrimonio immobiliare, calcolando peraltro che gli edifici sono responsabili del 40% dei consumi energetici e del 36% di emissioni di gas serra. Non siamo soli, il 75% degli edifici europei è inefficiente a livello energetico, ma ci collochiamo nella fascia più bassa. Si alzano proteste a livello politico e da parte delle associazioni del consumatori per la riduzione dei bonus attuali, soprattutto per le caldaie a gas che saranno bloccati dal 2025 ed eliminati del tutto, anche quando erogati per soluzioni miste, dal 2040. La trasformazione in atto, il processo inevitabile della transizione energetica, si porta appresso una grande questione. Chi paga tutto questo? La direttiva resta sulle generali, non prevede finanziamenti specifici da parte del settore pubblico, ma fa riferimento all’utilizzo degli strumenti comunitari attuali. E apre alla possibilità di ammettere detrazioni fiscali, sconti in fattura, contratti energetici agevolati, fondi di garanzia.
E il tutto va declinato anche per ciò che riguarda l’utilizzo del solare, tutti i nuovi edifici dovranno infatti essere solar ready (cioè predisposti) dal 2030, dal 2028 quelli pubblici. Si apre adesso una partita politica molto delicata nella quale dobbiamo assolutamente evitare di ripetere quello è successo con il Mes. Il Governo ha in mano tutte le carte per procedere bene, avendo la possibilità di orientare i passi per adeguarsi ad una normativa europea dagli obiettivi finali sacrosanti. Il poter dettare le regole nazionali, sia pure nell’ambito di una direttiva comune, non deve annacquare le nostre scelte. Il non prevedere sanzioni per chi non sistemerà le proprie case, o comunque non inserire una normativa ragionevole ma ferma, sarebbe un danno anche per i cittadini. La sanzione inevitabile, inappellabile, è quella del mercato. Chi migliorerà le condizioni energetiche dei propri immobili li vedrà apprezzare, viceversa avverrà il contrario. Questo processo è già in atto. Non si può fermare.

– Foto: Agenzia Fotogramma –

(ITALPRESS).

Vuoi pubblicare i contenuti di Italpress.com sul tuo sito web o vuoi promuovere la tua attività sul nostro sito e su quelli delle testate nostre partner? Contattaci all'indirizzo [email protected]