Sono circa 33mila i preti diocesani che, ogni giorno, mettono la propria vita al servizio del prossimo. Soprattutto nei mesi più bui della pandemia, infatti, i sacerdoti (sul sito Uniti nel Dono ci sono centinaia di storie) hanno rappresentato per poveri, o malati e gli anziani un sostegno concreto a cui appoggiarsi.
“Stare accanto agli altri è la vera catechesi”. Parola di don Luigi D’Errico, 58 anni, dal 2007 parroco dei Santi Martiri dell’Uganda, all’Ardeatino, e referente del settore disabili e catechesi dell’Ufficio catechistico della diocesi di Roma.
Un impegno, quello di don Luigi, notato anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che, nel 2020, gli ha conferito il titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Un’onorificenza che Don Luigi non considera un riconoscimento personale ma di tutte quelle persone che in diocesi si sono mostrate sensibili, verso il dramma dei disabili e delle loro famiglie. Il titolo, si legge nella motivazione, gli è stato assegnato “per il suo quotidiano impegno a favore di una politica di reale inclusione delle persone con disabilità e per il contrasto alla povertà e alla marginalità sociale”.
E’ stata sua, infatti, l’idea di fondare le case-famiglia “Rifugio per Agar”, dedicata a donne e bambini vittime di maltrattamenti, e “Casa Betlemme”, che con l’aiuto di altre parrocchie accoglie famiglie senza dimora. Nella comunità di via Adolfo Ravà, dove sorge la parrocchia, l’attenzione è per coloro che versano in condizione di bisogno; tutti collaborano per sostenere i fratelli in difficoltà. Lo spirito di gruppo è presente in tutta la comunità parrocchiale e attraversa tutte le età.
La Messa domenicale delle 10.30 è quella dei ragazzi e anche chi ha una disabilità partecipa alla celebrazione insieme ai propri coetanei. Una Santa Messa gioiosa che attira fedeli anche da altri quartieri.
“Abbiamo anche due catechiste con disabilità, Lavinia e Benedetta – spiega Don Luigi a Sovvenire, il trimestrale d’informazione sul Sostegno economico alla Chiesa cattolica – Non possiamo predicare che la vita è sacra e poi non accoglierla in tutte le sue forme. In estate organizziamo un campo estivo a cui possono partecipare tutti: lo scorso anno eravamo più di settanta, e la metà erano persone con disabilità. Non c’è un singolo gruppo che fa una cosa, ma tutti fanno un po’ di tutto…. Serve un cambiamento di mentalità profonda. Una persona è prima di tutto una persona, non “un disabile”.
Ispirata dal nome stesso dei propri santi patroni, questa comunità da sempre ha sostenuto i fratelli ugandesi, grazie a una collaborazione con i padri comboniani. La missione in Uganda caratterizza fortemente tutte le attività: “Prima del Covid andavamo in Uganda almeno due volte all’anno conclude Don Luigi – e partivano anche piccoli gruppi di quattro o cinque persone. Ora stiamo organizzando un nuovo viaggio e c’è già la fila di persone che vorrebbero partecipare. Molti sono giovani. Perché i ragazzi sono coraggiosi, appassionati, ed è giusto coinvolgerli. Si possono fare anche piccole rivoluzioni. L’unica cosa che non cambia è il Vangelo”.
Essere “Chiesa in uscita” non significa necessariamente andare lontano. A volte, basta semplicemente fare qualche passo nelle strade più vicine. A Roma, “cuore della cristianità”, sono numerosi i sacerdoti in prima linea nelle periferie, tanto care a papa Francesco, crocevia di povertà e disagio sociale.
Come don Stefano Charles Cascio, 43 anni, nato a Nizza da padre italiano e madre francese, che guida dal 2016 la comunità della parrocchia di San Bonaventura da Bagnoregio, a Torre Spaccata.
“Quando sono arrivato cinque anni fa ho trovato una comunità abbandonata – spiega Don Stefano in un video pubblicato su Uniti nel Dono – sia fisicamente, perché non funzionava nulla, sia perché le persone erano chiuse. La chiesa e la casa canonica versavano in pessime condizioni. Sono stati necessari lunghi lavori di ristrutturazione, grazie ai quali è stato ricavato anche un appartamento che ha potuto ospitare una famiglia di profughi siriani. Ridipinte pure le aule del catechismo: sulle pareti si vedono pesci, alghe, una barca, un grande sottomarino giallo. Le decorazioni sono state realizzate da due giovani artisti sul tema del ‘prendere il largo”.
Risistemata pure la cappella dell’adorazione, perché le porte di San Bonaventura da Bagnoregio sono sempre aperte, dalle 9 alle 22, e costruita ex novo la cappella feriale nel giardino. “Con il Covid abbiamo capito che era giusto avere uno spazio dignitoso per celebrare all’aperto – sottolinea don Cascio – la cappella è dedicata a Maria Madre della Speranza, uno degli appellativi che ha utilizzato il Santo Padre per la Madonna proprio in questo tempo di pandemia”.
Poco distante è stato creato un orto urbano, curato dai ragazzi disabili dell’associazione “Batti il cinque” che qui hanno trovato un’occasione di coesione ed inclusione sociale.
San Bonaventura oggi è una piccola oasi accogliente, collocata a due passi da viale Palmiro Togliatti che versa in un contesto di degrado come dimostra la lunga serie di autodemolitori abusivi, proprio a ridosso del Parco archeologico di Centocelle.
“Una volta ristrutturata la parrocchia ho iniziato ad occuparmi delle persone, – aggiunge Don Stefano – dal percorso delle famiglie a quello delle giovani coppie, dai separati ai bambini”. In un quartiere difficile come Torre Spaccata il dinamismo del giovane sacerdote ha favorito la nascita di una squadra di volontari che, anche durante la pandemia, ha garantito la distribuzione dei pacchi viveri alle famiglie in difficoltà seguite dalla Caritas parrocchiale. Fulcro di iniziative la parrocchia ha costituito insieme all’altra parrocchia della zona, Santa Maria Regina Mundi, e alle associazioni del territorio, scuole, istituzioni, il mercato, “La Rete”, un tavolo di lavoro grazie al quale vengono sviluppate iniziative congiunte volte a promuovere l’apertura del quartiere e il recupero delle aree comuni per migliorare la qualità della vita di fasce deboli della popolazione.
Tra i progetti futuri de “La Rete” l’attuazione, insieme ad Intersos, di un patto educativo locale per i ragazzi di strada, ispirato a quello globale lanciato da Papa Francesco, ed un progetto di assistenza per gli anziani soli. “Su quindicimila abitanti nel nostro quartiere – conclude Don Stefano -, numerosi sono gli ultraottantenni; molti di loro sono soli ed hanno bisogno di sostegno. L’idea è di farli “adottare” da alcune famiglie in grado di accudirli con l’intento di creare quei legami che nella grande città vengono meno”. Segno dell’attenzione alla terza età è anche la battaglia portata avanti da “La Rete” per la ripresa delle attività del centro anziani di quartiere, chiuso durante il lockdown di marzo 2020 e mai riaperto.