La morte a Roma del vicebrigadiere dei carabinieri ucciso, ha provocato un numero infinito di reazioni di sdegno da parte di chiunque abbia qualche responsabilità politica, e le affermazioni si sono susseguite in un crescendo: chi evoca la pena di morte, chi il carcere duro perpetuo, chi incauto e spregiudicato, ha cercato di aizzare contro poveracci immigrati nel tentativo di lucrare popolarità anche in momenti di gravi lutti. Ma al di là delle solite ‘commedie italiane’, la classe dirigente deve pur dare soluzione alla percezione e reale condizione di abbandono del territorio alla violenza. Le disgrazie come quelle che commentiamo, possono accadere in qualsiasi momento, ma nel fare un ragionamento responsabile, non si può negare che in questi casi come in tantissimi altri, è questione di probabilità correlate alle precauzioni che si allestiscono nella sorveglianza del territorio, negli strumenti che si utilizzano nel farlo, nella stessa influenza da esercitare sulla psicologia dei criminali. Ad esempio, i due cittadini statunitensi fermati, accusati del delitto, sanno bene che negli states, ogni territorio cittadino è sorvegliato da riprese video, ogni 3-4 cento metri è presidiato da 2 agenti, che gli agenti sono armati oltre che da pistole classiche, anche da quelle elettriche e di randelli.
Costoro sanno che i loro policemans, hanno l’ordine di intervenire efficacemente e senza indugio, e che quando si commette un reato non si torna liberi dopo qualche ora. Ora, se si vuol onorare il povero vicebrigadiere Cerciello, come i tanti altri suoi colleghi caduti in tali circostanze, e se si vuole cambiare davvero la situazione, i governanti devono prendere ad esempio come ci si comporta in casi analoghi in un paese civile come gli USA. Penso che si possono assumere anche altri poliziotti, ma se il territorio rimane sguarnito, gli ordini che si danno sono contraddittori, la giustizia rinunzia al suo ruolo, l’intelligence latita, i delinquenti più che scoraggiati saranno incoraggiati ad essere padroni delle loro pulsioni criminali.
Raffaele Bonanni