Apertura in cerca della verità per il 71mo Festival di Cannes: a inaugurare il Concorso della kermesse della Croisette è Asghar Farhadi con ”Todos lo saben”, coproduzione europea (Spagna, Francia e l’Italia della Lucky Red) per il secondo film in trasferta del grande regista iraniano. Sostanzialmente un giallo, a forte caratura morale, ma basato sull’ombra del dubbio che si allunga sui componenti di un’intera famiglia. Il classico ”whodunit” alla Agatha Christie si applica infatti al ritorno a casa di Laura, figlia di una famiglia di viticoltori della privincia iberica, trasferitasi e sposatasi in Argentina, tornata nel paese in cui e’ cresciuta in occasione del matrimonio della sorella. Il passato, immancabile motore del cinema di Farhadi, ha il sapore delle emozioni mai dimenticate: il padre ubriacone ma bonario finito in rovina per il vizio del gioco, la gente del paese, soprattutto Paco, sua prima fiamma, che ormai ha una moglie ma al quale Laura e’ rimasta legata da un sentimento che non si puo’ cancellare. Se considerate che lei e’ Penelope Cruz e lui Javier Bardem, il quadro e’ chiaro, dipinto a tinte di piena vitalita’ iberica… E infatti Farhadi si prende la prima mezz’ora di film per tratteggiare la scena seguendo i cliche’ dell’immaginario spagnolo: si festeggia il matrimonio, si balla, si ride, si vive in allegria. Poi il dramma si riversa sulla famiglia con silenziosa veemenza: la figlia di Laura viene rapita, il riscatto e’ ingente, la polizia deve essere tenuta all’oscuro pena la morte della ragazzina.
Appare evidente subito che il rapimento e’ opera di qualcuno che conosce bene la situazione, probabilmente qualcuno di famiglia, e la questione morale che il giallo solleva e’ infatti legata alle responsabilita’ che ognuno ha nei confronti dell’altro tra le mura domestiche: i debiti affettivi ma anche economici, i segreti nascosti, la paura di svelare le verita’, fatte di fallimenti, affetti mai dimenticati, relazioni negate. Farhadi costruisce insomma un dramma in cui passione e legami familiari sono un nodo quasi tragico che si stringe attorno al collo degli innocenti, infrangendo l’unita’ apparente di quella grande famiglia e rivelando a ognuno dei suoi componenti una parte di se’ che era rimasta sopita sotto la coltre delle abitudini affettive. Il film pero’ si affida a una messa in scena che non trova mai la pienezza psicologica dei personaggi, che sembrano agire piu’ come funzioni letterarie che come persone dotate di quella forza emotiva su cui pure il regista vorrebbe basarli. Farhadi appare piuttosto fuori luogo nella cultura spagnola, che non si offre come scenario adatto alla potenza della sua narrazione come invece era accaduto con la privincia francese in occasione del suo precedente film girato in trasferta, ”Il passato”. la scenegguatura si perde in troppe derive e in evvessivi sviamenti, sprecando una complessita’ drammaturgica che invece meritava piu’ concentrazione. Soprattutto si sente che l’ambientazione spagnola, un po’ prefabbricata, e’ piu’ un abito cucito addosso a una storia che in realta’ avrebbe funzionato molto meglio se fosse stata ambientata da Farhadi in quell’Iran che di cisuro conosce meglio. Penelope Cruz e Javier Bardem ci mettono la loro presenza forte, ma non trovano mai la chiave adatta a dare profondita’ ai personaggi. E di suo Farhadi si perde in alcune figure retoriche e in talune metafore che appaiono un po’ scontate.
cau