Nel settore agroalimentare si affermano soluzioni innovative per ridurre lo spreco di cibo, mentre nuove tecnologie digitali e forme di collaborazione nella filiera consentono di prevenire, gestire e valorizzare le eccedenze alimentari. Una spinta innovativa che proviene in particolare da startup che propongono soluzioni di economia circolare e nuovi modelli di business “sostenibili”. Sono 835 le startup internazionali dell’agroalimentare nate tra il 31/12/2013 e il 31/12/2018 che perseguono obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale e economica attraverso soluzioni per lotta alla fame, transizione a sistemi di produzione e consumo più responsabili, utilizzo efficiente dell’acqua, lotta allo spreco di cibo e turismo responsabile: oltre il doppio di quelle rilevate lo scorso anno (399) e circa il 20% del totale di 4.242 dell’agrifood. I Paesi con la più alta densità di startup agrifood sostenibili sono Israele (49, di cui il 71% sostenibili), Svizzera (43, di cui il 40% sostenibili) e Indonesia (24, di cui il 38% sostenibili). Sono alcuni risultati della seconda ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano presentata questa mattina al convegno “La filiera agroalimentare si muove e cambia pelle: circolarità, prossimità e packaging degli alimenti”.
Solo il 39% delle startup sostenibili internazionali è stato finanziato, per un totale di 2 miliardi di dollari di finanziamenti raccolti, ma gli investimenti medi per startup sono in crescita dai 2,4 milioni di dollari di un anno fa ai 6,1 milioni attuali. L’Italia, con 63 startup agrifood e 16 sostenibili (il 25%), che offrono soprattutto soluzioni di agricoltura di precisione e piattaforme per gestire le eccedenze, ridurre gli sprechi e promuovere i prodotti locali, presenta un mercato ancora fermo, con appena 1,8 milioni di dollari di finanziamenti complessivi e in media 400 mila dollari per startup.
“Nel 2018 il sistema agroalimentare ha vissuto un grande fermento innovativo come risposta alla necessità di ridurre lo spreco di cibo, una delle sfide più sentite a cui sia le startup sia attori consolidati stanno cercando di trovare soluzioni – afferma Alessandro Perego, direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Responsabile scientifico dell’Osservatorio -. Sono raddoppiate le startup che si possono definire ‘sostenibili’ e che propongono modelli di business circolari per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, mentre si diffondono nuove modalità di collaborazione a tutti i livelli della filiera e l’innovazione coinvolge processi della supply chain prima d’ora soltanto sfiorati, come ad esempio il packaging. Nel confronto internazionale, il mercato italiano appare fermo, ma anche in Italia non mancano casi di successo e spunti di innovazione che fanno ben sperare per il futuro”.
“La filiera agroalimentare sta cambiando pelle – aggiunge Raffaella Cagliano, responsabile scientifico dell’Osservatorio -. Si assiste a una riconfigurazione legata all’economia circolare, con soluzioni innovative nella prevenzione e gestione delle eccedenze alimentari che migliorano previsioni, limitano la sovrapproduzione o permettono una maggiore preservazione degli alimenti. Ma anche a una riconfigurazione ‘di prossimità’ con aziende che scommettono sempre più su un modello di filiera corta sostenibile”.
I principali obiettivi di sviluppo sostenibile perseguiti dalle 835 startup sostenibili censite dall’Osservatorio sono incrementare i redditi dei produttori su piccola scala, fornendo accesso alle risorse produttive e uno sbocco sul mercato (253 startup), aumentare la produttività e la resilienza dei raccolti ai cambiamenti climatici (163 startup), ridurre le eccedenze e gli sprechi alimentari lungo la filiera (86). Seguono le nuove imprese che investono su soluzioni chimiche green per migliorare le rese preservando l’ambiente (61), che mirano a ottimizzare l’efficienza delle risorse impiegate nella produzione (60), che cercano di garantire l’accesso al cibo (48), di perfezionare l’uso delle risorse idriche e favorirne l’accesso (42) e le startup che promuovono il turismo sostenibile e la produzione locale (23).
Le startup sostenibili internazionali hanno raccolto complessivamente 2 miliardi di dollari nel periodo analizzato, con una media di 6,1 milioni di dollari per startup (quasi tre volte maggiore rispetto al dato dello scorso anno, 2,4 milioni di dollari). Le startup statunitensi sono prime per capacità di attrarre investimenti, per un totale di 1,4 miliardi di dollari, in media 8,7 milioni di dollari per startup. L’Europa raccoglie in totale 318 milioni di dollari di finanziamenti, ma arretra sul fronte finanziamenti medi con appena 3,4 milioni di dollari, contro i 6,6 milioni raccolti mediamente dalle startup asiatiche (il doppio del 2017), che complessivamente hanno ricevuto 293 milioni di dollari.
Quasi metà delle startup sostenibili analizzate sono Service Provider che forniscono software e app per analisi dei dati, servizi di consulenza a supporto delle attività agricole e piattaforme marketing e retail per facilitare l’accesso al mercato di piccoli produttori (400 startup, il 48%).
Seguono i Technology Supplier (166 startup, 20% del campione), che forniscono tecnologie per l’agricoltura di precisione per incrementare la produttività e la resilienza dei raccolti, e le nuove aziende che si occupano di Food Processing (91 startup sostenibili, 11%), dove prevalgono cibi proteici e alternativi a quelli tradizionali, per garantire a tutti cibo salutare e nutriente e a minor impatto ambientale.
“Le soluzioni innovative sviluppate dalle startup sono orientate prevalentemente a passare a sistemi di produzione più sostenibili e resilienti e favorire modelli di consumo responsabili, ottimizzando l’utilizzo delle risorse e minimizzando gli sprechi – commenta Paola Garrone, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. La conferma dei fornitori di servizi e di tecnologia quali principali promotori di innovazione sostenibile lungo la filiera evidenzia ancora una volta l’importanza della tecnologia come fattore che permette o facilita l’implementazione di nuove soluzioni per far fronte alle sfide di sostenibilità”.
Le imprese del settore si stanno gradualmente attrezzando con modelli di business “circolari” per valorizzare le eccedenze alimentari ed eliminare gli sprechi, adottando un approccio di filiera ad ogni livello della cosiddetta Food Waste Hierarchy (FWH, la gerarchia di utilizzo delle eccedenze: prevenzione, riutilizzo-redistribuzione, riutilizzo per consumo animale, riciclo, recupero, smaltimento). La prevenzione è resa possibile da nuove tecnologie, come sistemi informativi e di analisi dei dati, soluzioni biochimiche e di controllo di parametri critici per la conservazione dei prodotti, e da collaborazioni lungo l’intera filiera con lo scopo di condividere competenze e risorse per l’applicazione delle innovazioni tecnologiche o la riconfigurazione dei processi. A livello di gestione delle eccedenze, le innovazioni tecnologiche e di processo consentono di ridare valore ai prodotti, trasformandoli e indirizzandoli a nuovi mercati o consentendone la ridistribuzione a fini sociali.
Analizzando le azioni delle singole imprese, invece, emerge la tendenza a ottimizzare internamente i processi e introdurre nuove soluzioni per ridurre lo spreco alimentare, sulla spinta della normativa, della necessità di diminuire i costi associati allo spreco di risorse e allo smaltimento dei rifiuti, di nuove opportunità di business e posizionamento sul mercato o per responsabilità sociale d’impresa. Le priorità per le aziende sono legate alla prevenzione e alla redistribuzione degli alimenti alle persone in stato di bisogno. A seguire si considerano le azioni relative al riciclo e quelle per la produzione di mangimi e concimi e infine per il recupero energetico, mantenendo come ultima opzione lo smaltimento in discarica.
Nelle imprese del settore primario la circolarità del cibo passa attraverso la clusterizzazione dei prodotti agricoli e la diversificazione dei canali di distribuzione, per prevenire la generazione di eccedenze e ampliare le possibili destinazioni d’uso delle eccedenze generate. Per le aziende di trasformazione il passaggio ad un approccio circolare interno si traduce nella valorizzazione delle diverse tipologie di eccedenze generate (prodotti finiti, ma anche scarti della produzione e semilavorati), razionalizzando i processi produttivi e intervenendo sulle cause di generazione delle eccedenze.
I distributori, infine, stanno rispondendo alla sfida della circolarità ampliando la gamma di opzioni di prevenzione e gestione delle eccedenze in magazzino e in punto vendita, affiancando a soluzioni tecnologiche innovative nuove collaborazioni di filiera.
“Le nuove tecnologie abilitano soluzioni innovative per la prevenzione e la gestione delle eccedenze alimentari, sia permettendo l’accesso alle informazioni sul prodotto per gestirne la destinazione d’uso, massimizzare la creazione di valore sostenibile e prevenire la generazione di eccedenze sia per l’attivazione di collaborazioni tra realtà molto diverse lungo la filiera e a livello di sistema – afferma Marco Melacini, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. Le esperienze e i casi analizzati nella ricerca possono offrire spunti interessanti per le aziende della filiera agroalimentare che stanno abbracciando le sfide della circolarità, cogliendo le opportunità offerte dalle innovazioni presenti sul mercato e supportando l’identificazione tempestiva dei possibili ostacoli, le leve per arginarli e le alternative a cui rifarsi se risultassero non superabili”.
Un imballaggio si può considerare sostenibile quando preserva o migliora la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti, quando ha un limitato impatto ambientale e quando favorisce un ampio accesso al cibo che contiene e dei cambiamenti positivi nella comunità. L’Osservatorio ha elaborato un modello per caratterizzare gli impatti di sostenibilità di un food packaging rispetto alle sue tre dimensioni principali (conservazione ambientale, sicurezza alimentare, valore sociale). “Si tratta di uno strumento per le aziende che intendono valutare le soluzioni di packaging già in uso e un supporto alla progettazione di soluzioni alternative – spiega Barbara Del Curto, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability – ad esempio per realizzare una strategia di comunicazione e una narrativa omogenea legata al prodotto, attraverso informazioni di valore riportate sul packaging. Inoltre, fornisce alla Ricerca un metodo comune per l’analisi dei trend di innovazione sostenibile nel settore”.
L’accezione di “Short Food Supply Chain” o “filiera corta” come limitata alla sola vicinanza geografica e come sinonimo di “sostenibile” non è sempre veritiera. L’Osservatorio ha proposto una classificazione di modelli di Short Food Supply Chain che considerano anche altri aspetti che possono sostituirsi o aggiungersi alla vicinanza geografica, come la vicinanza relazionale e informativa. Da questa classificazione sono stati ricavati quattro modelli. Il modello Fully Short Supply Chain viene adottato da aziende che sfruttano tutti gli aspetti di prossimità geografica, relazionale e informativa per perseguire obiettivi di tutela dei piccoli produttori, promozione del territorio e difesa del patrimonio naturale e culturale. L’approccio Direct Supply Chain è tipico di supply chain estese geograficamente, come le coltivazioni di cacao e caffè, che fanno leva su prossimità relazionale e informativa per promuovere lo sviluppo dei piccoli produttori, la diffusione di conoscenze nei paesi in via di sviluppo, la preservazione delle specie animali e la riduzione dell’uso di prodotti chimici. Le Traced Supply Chain, infine, sono filiere che si sviluppano in un contesto geografico esteso e caratterizzate da numerosi stadi, che fanno leva su diverse soluzioni di tracciabilità per colmare la distanza sul piano informativo.
“Questi modelli possono essere un punto di partenza per le aziende per inquadrare la propria filiera e ricavare spunti per integrare o sostituire la prossimità geografica con azioni specifiche che creino vicinanza relazionale, trasparenza e tracciabilità informativa” afferma Federico Caniato, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability.
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