Bombardieri “Senza il Mezzogiorno il Paese non riparte”

“O questo Paese dà priorità allo sviluppo del Mezzogiorno o non riparte”. Lo ha detto Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia di stampa Italpress. Il 4 luglio scorso Bombardieri è stato eletto leader dal Consiglio Confederale del sindacato, succedendo così a Carmelo Barbagallo.

Quale focus si è dato come missione?

“Già da qualche anno abbiamo avviato un programma di riorganizzazione della nostra struttura, semplificandola, cercando di avvicinarla non solo a lavoratrici e lavoratori ma rendendola più fruibile anche da chi solitamente il sindacato non lo frequenta, come giovani e anziani”. Per lei i giovani sono un punto importante. Però, se guardiamo i numeri, i giovani italiani sono messi male in Europa. Come pensa di fare? “L’ascensore sociale si è bloccato. Negli anni passati c’era la possibilità per molti giovani di crescere nella scala sociale del Paese. Negli ultimi tempi questo non avviene più perché nel corso di questi anni la stratificazione e le differenze sociali sono aumentate. Abbiamo permesso, soprattutto nel Mezzogiorno, che tantissimi ragazzi si spostassero in giro per l’Europa. È stato scelto di non curare la formazione, la possibilità di crescere culturalmente e di creare grandi occasioni di sviluppo e di crescita per i ragazzi, che hanno tratto le conclusioni e si sono spostati”.

Il Covid è un po’ un paradosso: dovrebbe essere la massima espressione della democrazia, invece abbiamo visto che non è così. Sono morti di più gli anziani e sono aumentate le diseguaglianze economiche e strutturali. La disparità tra Nord e Sud dovremo risolverla prima o poi. Non è che facciamo la Cassa per il Mezzogiorno?

“Non credo che la Cassa per il Mezzogiorno sia la soluzione. Si tratta di fare un salto culturale e di affermare un principio secondo cui questo paese o parte dallo sviluppo del Mezzogiorno o non riparte. Nel paese, nel corso degli anni, si è investito nel nord e si è lasciato che nel Mezzogiorno misure di protezione sociale aumentassero in qualche caso a dismisura. Bisogna cambiare quel paradigma e capire che al Sud si deve investire. Bisognerebbe definire qual è l’idea di paese che abbiamo nei prossimi anni. Se non partiamo da qui, ed è quello che noi chiediamo al governo, sarà difficile raggiungere l’obiettivo. Sono calabrese, torno periodicamente e vivo le difficoltà, le contraddizioni, la disperazione ma anche la grande dignità e la voglia di riscatto del popolo meridionale. Dobbiamo lavorare sulla forza e la voglia che hanno i giovani di ripartire”.

Non è un problema di sogni ma della struttura in cui metterli. Bisogna lavorare alla base della retorica politica e sindacale.

“È quello che noi sosteniamo quando parliamo di un modello di sviluppo. Quali risposte diamo a chi vuole rimanere nel mezzogiorno e vuole sviluppare idee industriali, crescita, occupazione, cultura? C’è una necessità di collegamenti che oggi non ci sono. Oggi il lavoro, che avviene in maggior parte via Internet, ha bisogno di reti strutturate. Il Mezzogiorno e alcune zone del Nord Italia sono abbandonate. Secondo me, questi nodi strutturali dovremmo affrontarli con il Recovery Plan. Non con 600 progetti ma scegliendo 3-4 asset strategici di questo paese e, sulla base di questo, di conseguenza scegliere i progetti”.

Si discute spesso se l’Europa sia mamma o matrigna. Alla fine di quei soldi abbiamo bisogno. Cosa ne pensa?

“Sono un europeista convinto dell’Europa dei popoli. L’Europa alla quale faccio riferimento è quella della solidarietà. Quella Europa è stata oggi offuscata, non solo dai burocrati ma da una scelta di dare prevalenza alle politiche economiche-finanziarie. Draghi è una grande personalità, una grande competenza ma lo ricordo presidente della Bce quando in Europa c’era la politica che non permetteva di fare un ragionamento diverso. Quella politica economica ha condizionato lo sviluppo del Paese e dell’intera Europa e il giudizio che spesso il nostro popolo ha dato dell’Europa”.

Lei porta i giovani ad Auschwitz, in un pezzo di Europa che ricorda qualcosa di antecedente, un’Europa del male che non va dimenticata.

“È una risposta a una richiesta sempre più numerosa di giovani che vogliono impegnarsi e capire. Pensiamo che la storia vada toccata e vissuta. Qualsiasi convegno è superato dall’esperienza diretta. Oggi c’è un grande dibattito sul tema del razzismo e dell’antisemitismo ed è un dibattito che spesso è fuorviante perché colorato da una polemica politica che nulla ha a che vedere con quella esperienza”.

Voterebbe Liliana Segre presidente della Repubblica?

“Se fossi parlamentare ci penserei, penso di sì”.

Siamo nel mondo globale che è unificato dalla tecnologia. Pensa che il mondo 4.0 sia, come dicono, la fine dell’homo sapiens e del lavoro tradizionale o è una visione apocalittica?

“Penso che sia una grande opportunità. Durante il periodo del Covid abbiamo visto che milioni di persone nel Paese hanno lavorato in smart working. La tecnologia ha permesso di fare cose che nemmeno pensavamo fossero possibili. Dobbiamo interrogarci su come utilizzarla. Bisognerebbe scegliere quali sono le nostre linee di politica industriale. Siamo d’accordo che la scelta sulla riduzione dei salari e dei diritti sia una scelta che ha perso nel corso degli anni e condividiamo il principio che per rilanciare il nostro paese sia necessaria un’innovazione di prodotto. Se inseguiamo la riduzione del costo del lavoro, sui paesi emergenti perderemo sempre”.

Tutto il sindacato ha avuto una storia importante per la difesa dei diritti dei lavoratori. Oggi i movimenti dell’antipolitica hanno un po’ messo in discussione l’intermediazione. Tutto questo movimento fa sì che anche l’intermediazione sindacale viene vista come qualcosa in più. Qual è la chiave del sindacato del futuro in questo clima globale?

“Ormai i fatti dicono che il tentativo di smontare un sistema di mediazione sociale è fallito. I motivi che rendono il sindacato ancora uno strumento attuale in grado di dare risposte è il fatto che noi viviamo la quotidianità nel rapporto con le persone. Il sindacato ha davanti la grande strada della ripresa degli spazi di discussione ripartendo dal lavoro. Qualsiasi disintermediazione o tentativo liberista di spiegare che il lavoro vale di meno si scontrerà contro i principi del rispetto della persona”. In un libro di Stiglitz si mette in guardia dallo strapotere dei proprietari dei social. La democrazia è in pericolo? È d’accordo?

“Sì, mi pare che la situazione in Italia dimostri che ci sia bisogno di una riflessione di questo tipo”.

Perché qualcuno oggi dovrebbe essere della Uil?

“La Uil oggi ha nelle proprie finalità principi e valori che rendono l’insieme di uomini e donne una comunità, rispettano i principi della vita, della sicurezza sul lavoro e lavorano per costruire un domani migliore, una società con meno disuguaglianze nella quale i giovani riescono a trovare un posto di lavoro stabile e gli anziani non vengono dimenticati nelle Rsa a morire. Rivendichiamo un cambiamento sostanziale”.

(ITALPRESS).

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