“Abbiamo una squadra che stagione dopo stagione ha dimostrato di crescere. Perché ogni anno impara, anche dagli errori. E questo processo ci sta portando ad avere una monoposto sempre migliore”. Il team principal della Ferrari, Mattia Binotto, suona la carica in vista del debutto nel Mondiale di Formula 1, in programma domenica a Melbourne. “Credo che la squadra da battere sia ancora la Mercedes – spiega il dirigente del Cavallino in un’intervista a ‘Il Corriere della Sera’ – Ha un gruppo consolidato, sa come costruire una macchina veloce, ha disponibilità economiche, competenze. E se dovesse incontrare difficoltà iniziali le supererà. Noi siamo un gruppo giovane, conosciamo i nostri obiettivi ma dovremo dimostrare di essere uniti nelle difficoltà. Non so se è proprio una preoccupazione, ma la tenuta va verificata”. Possibile individuare un punto di forza della SF90: “Ha una stabilità aerodinamica importante, è prevedibile e costante a medie e alte velocità, con il vento laterale, in curva e nei rettilinei. È un elemento che abbiamo ricercato perché era una delle difficoltà della vettura della scorsa stagione. Come lo abbiamo individuato? Con i riscontri fra galleria del vento e pista. Ci siamo spinti nelle simulazioni per far emergere problemi e ottenere una migliore correlazione dei dati”. Vettel e Leclerc non richiedono metodi di lavoro diversi: “Il nostro impegno è dar loro un prodotto identico. È diverso l’approccio: Charles per noi è un investimento. Passa molto tempo con gli ingegneri per progredire al meglio. È anche una questione di linguaggio, deve acquisire il vocabolario necessario per comunicare perché puoi anche essere sensibile, ma poi devi saper spiegare la macchina. Impara in fretta, è un tipo smart”. Binotto, che si considera “una figura paterna, quasi un tutor”, al termine del 2018 è stato vicino a lasciare la Ferrari: “Ritenevo di non essere più nelle condizioni di esercitare bene il mio mestiere, e l’ho reso noto. E che questa non fosse solo una difficoltà mia ma riguardasse tutto il gruppo anche perché se un direttore tecnico non lavora al meglio, tutto si riflette su quelli che coordina. Sì, è vero: altre scuderie mi hanno cercato perché la mia esperienza ha valore in F1. I nomi? Ma no, sono tifoso della Ferrari da quando ero bambino. Non ho mai pensato a un’altra squadra se non alla Ferrari”. Con Maurizio Arrivabene non ci sono mai stati problemi personali: “Lavorando qui da 25 anni ho avuto la fortuna di vivere anche momenti gloriosi con Todt, Brawn e Schumacher. E poi con Stefano Domenicali. Io ho sempre imparato da tutti, anche da Maurizio e di questo lo ringrazio. Il rapporto personale è sempre stato buono. Mai un litigio. Le difficoltà riguardavano la visione, la gestione del gruppo o di un week-end di gara. Avevamo punti di vista differenti”. L’insegnamento principale lasciato da Sergio Marchionne è “non porci limiti. Darci l’obiettivo di raggiungere l’impossibile. Era la sua motivazione costante, cercare di fare qualcosa che resti nella storia, personale o di questo sport. A volte ci stimolava magari in modo ‘violento’ ma funzionava. Magari diceva: “Tutto qui? Queste sono str…, bisogna fare il triplo'”. Quando Marchionne l’ha promosso direttore tecnico è rimasto sorpreso: “Sì, è stato un passaggio completamente inaspettato. Mi aveva già promosso a capo dei motori nel 2014 ma credo che con la seconda nomina volesse rompere gli schemi, non solo qui alla Ferrari ma nella F1. Ha scelto un direttore tecnico che non ha mai progettato una vettura. È stata una scommessa che ha a che fare con questa organizzazione orizzontale, con la quale continuiamo a lavorare”. La nomina a team principal non è stata né una sorpresa né un obiettivo raggiunto: “Nessuna delle due cose. Che io potessi diventare team principal se ne era parlato anche con Arrivabene. La nomina è stata una scelta dell’azienda. E sono grato alla Ferrari per la fiducia e la stima”. La difficoltà più rilevante e il piacere più intenso: “La cosa più difficile è concentrarsi sull’oggi ma anche sul dopodomani, organizzare una struttura pronta per le regole del 2021. Significa ritagliare del tempo a tutto il gruppo per guardare oltre. Quello che mi diverte di più è avere in mano le redini di questo gioco pur essendo consapevole che sono i miei collaboratori a poter fare la differenza”. Se potesse scegliere un pilota del passato, ingaggerebbe “Schumacher. Prima ancora di metterlo in macchina lo metterei in squadra. Perché è un leader. Quell’avventura lì è irripetibile? No, e lo sta dimostrando la Mercedes. Il nostro obiettivo è spostare la palla dall’altra parte del campo: non siamo qui per vincere una stagione, siamo qua per aprire un ciclo”. Hamilton e Schumacher non si somigliano: “No, sono due persone opposte. Nella personalità, nel talento e anche nel modo di guidare, in tutto. Se sento la responsabilità di aver accolto nell’Academy il figlio Mick? È solo un grande piacere, ci riempie di gioia averlo. Ma non mettiamogli fretta ed evitiamo i paragoni”. Infine, una battuta: “Se tornerà a vincere prima la sua Inter o la Ferrari? La Ferrari”.
BINOTTO “FERRARI GIOVANE, MERCEDES TEAM DA BATTERE”
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