“Noi non siamo più disponibili ad accettare norme che non siano chiare e precise su quando e come vengono pagate le imprese. Perché leggi che lascino senza termini prefissati, che non diano chiare indicazioni o demandino a decreti attuativi le autorizzazioni, a noi non interessano più, siamo ormai arrivati al capolinea”. E’ perentorio in un’intervista all’ITALPRESS il presidente dell’Ance, Gabriele Buia, di fronte alle contraddizioni emerse nel decreto Crescita (appena rinviato dall’Aula della Camera in commissione) sull’emendamento che istituisce il fondo di solidarietà per le imprese creditrici, eliminando però i termini del pagamento urgente e scaricando sulle imprese l’onere di dimostrare il credito stesso. Lo stesso Buia nei giorni scorsi aveva sollecitato l’introduzione di quel fondo ma ora alza la guardia, perché “senza immediatezza e concretezza – dice – non serve a niente e nessuno”.
Presidente, se non ci fosse un ravvedimento alla Camera, sareste disposti ad attivare qualche forma di protesta?
“Prenderemo posizione nelle sedi opportune e faremo tutto il possibile. Non possiamo più permetterci che le imprese chiudano e si continuino a perdere posti di lavoro e professionalità. Spero che su questo ci sia una sensibilizzazione del legislatore”.
Anche in merito alla prospettiva di un aumento dell’Iva, che lei stesso ha definito “una spada di Damocle” per le imprese? L’Istat, peraltro, segnala che il Pil potrebbe essere negativo anche nel secondo trimestre.
“Se la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia (23-24 miliardi) arrivasse a scapito degli investimenti, noi non siamo d’accordo, e lo abbiamo sempre detto, perché penalizzerebbe ancora di più la crescita. E’ chiaro che il governo dovrà prendere una decisione dopo le ferie, quando si comincerà a parlare di legge di bilancio, e lì dovremo avere dei riscontri in base alla discussione di questi giorni con l’Europa. Su questo dobbiamo essere molto attenti: non possiamo permetterci oggi una tensione con l’Europa che porterebbe al rialzarsi del differenziale con i bund tedeschi, perché questo danneggerebbe la fiducia degli investitori e gli investimenti nostri, che sono due elementi essenziali non solo per il mondo delle costruzioni ma per il sistema Italia”.
La procedura di infrazione sarebbe deleteria?
“Mi auguro che questo non avvenga, leggendo anche quello che il ministro Tria dichiara. Ma è chiaro che se gli indicatori di crescita restano al palo, anche gli indicatori del mondo delle costruzioni restano al palo per una decrescita dell’occupazione. E questo è sintomatico di un malessere che si sta concretizzando da undici anni. Certo, ancora è presto per capire gli effetti del decreto crescita. Il mondo delle costruzioni e degli investimenti pubblici ha tempi di reazione lunghissimi. Ma finché non interveniamo sulle procedure a monte delle gare (la burocrazia, la sedimentazione normativa) l’Italia non crescerà mai, e questo il legislatore deve metterselo in testa: ci vuole una commissione costituente con poche teste pensanti – e ci sono in Italia – che possano intervenire su questi cicli anomali. Voglio ricordare che un’opera pubblica (viabililità, scuole, ospedali) non è solo a vantaggio del settore delle costruzioni ma è un’opera sociale che serve a tutta l’Italia”.
A proposito di Progetto Italia, con il salvataggio di Astaldi entro metà luglio anche attraverso Cassa depositi e prestiti, ritiene che questa operazione andrà in porto?
“Io asupico che ci sia la possibilità di trovare una soluzione, purché questo avvenga nel rispetto assoluto delle necessità di tutte le imprese italiane, piccole e medie, senza sperequazioni sulla concorrenza e sul mercato. Lo sottolineo: non vogliamo vedere imprese di serie A e di serie B”.