Una dopo l’altra arrivano all’appuntamento decisivo le scelte da operare per il futuro di importanti dossier nazionali. E ciò avviene proprio nel momento in cui il Paese è alla ricerca del nuovo Governo. Non solo quella epocale per la riforma delle istituzioni europee, ma altre decisioni bussano alla porta. Dopo Telecom e prima dell’Ilva, di attualità stretta è la vicenda Alitalia. In settimana due importanti svolte. Il decreto con il quale il Governo uscente ufficializzerà la proroga della procedura di vendita e fine ottobre e il quasi certo arrivo di una procedura di inchiesta da Bruxelles per il prestito ponte da 900 milioni concesso nel 2017 alla ex compagnia di bandiera. Con il primo provvedimento ci si arrende all’evidenza dei fatti. La palla passa al prossimo Governo di cui non sappiamo ancora chi saranno i principali protagonisti. La situazione è delicata sono in ballo migliaia di posti di lavoro, perché è certo che comunque esuberi ci saranno. Questo i tre commissari liquidatori lo sanno e non possono certo assumersi da soli questo tipo di responsabilità.
Lega e Movimento Cinque Stelle hanno fatto chiaramente capire che un ritorno al passato con una nazionalizzazione o con una forte partecipazione pubblica non sarebbe certo un male. Anzi. E magari con una assunzione di quote da parte della Cassa Depositi e Prestiti. Anche perché le offerte pervenute non sono soddisfacenti e nessuno vuole comprare l’intera compagnia, né l’intera attività di volo. Questo coinvolgimento esplicito della politica per le sorti di Alitalia non è certo una novità. Così era al tempo delle Partecipazioni statali, così era al tempo dei famosi capitani coraggiosi coinvolti da Silvio Berlusconi nell’allora tentativo di salvataggio. Una serie di flop costati oltre otto miliardi di euro ai contribuenti italiani. La Commissione UE ha poi acceso un faro sul prestito da 900 milioni concesso ai commissari per tenere in piedi la baracca. Anche la sua restituzione slitterà da settembre a fine anno. A dire il vero solo cento milioni sono stati utilizzati, e per una garanzia, il resto è ancora nelle casse della compagnia. La quale tutto sommato nel primo anno di commissariamento non è andata poi così male, visto che i ricavi sono cresciuti del 3%. Il problema della sua fragilità sta principalmente nelle scelte operate nel passato. Sono state dismesse progressivamente le tratte del lungo raggio, quelle più redditizie, sono state mantenute quelle a corto e medio raggio dove la concorrenza del low cost e del treno morde assai. Sullo sfondo come dicevamo il problema di tre offerte di acquisto che non convincono.
Soprattutto per la loro parzialità rispetto al business complessivo di Alitalia. Quella di Lufthansa sembra la migliore perché manterrebbe una buona parte della attuale operatività di volo. Ma pesano le condizioni sui tagli occupazionali da operare che ballano fra i 4 mila e i 6 mila addetti rispetto al totale dei 12 mila occupati. Mentre quella della ungherese Wizz air sembra una offerta velleitaria, qualcosa di più potrebbe rappresentare quella del consorzio capeggiato dalla inglese Easyjet, con il fondo Cerberus, Delta, Air France, KLM. Vedremo cosa accadrà. Di sicuro si impone una riflessione strategica. Un Paese che ha già perso la sua chimica, il suo acciaio, le sue tlc, deve ragionare su cosa significherebbe regalare a concorrenti stranieri un business così decisivo per il turismo nazionale.
Giuliano Zoppis