“La mafia non è più quella di una volta” ma Franco Maresco sì. E infatti tiene fede al suo personaggio, dando immancabilmente forfait sul Lido di Venezia 76 all’attesissima presentazione in Concorso del suo nuovo film. Non è cosa nuova, anzi si potrebbe dire che era un’assenza annunciata, scritta nella tradizionale indisponibilità del regista palermitano a prendere parte di persona alla kermesse alla quale pure deve non poco. Già nel 2014 non aveva ritirato il premio che gli era stato attribuito nella sezione Orizzonti per “Belluscone. Una storia siciliana” e alla stessa maniera oggi non si è presentato al Lido per accompagnare “La mafia non è più quella di una volta”, che ne è sostanzialmente il seguito a cinque anni di distanza. Risultato: conferenza stampa cancellata e tante domande dei giornalisti italiani e soprattutto stranieri rimaste senza risposta, a fronte del caloroso applauso che ha accolto la proiezione del film. Fa parte del personaggio ed è posizione comprensibile, anche se va detto che proprio per la natura particolarmente ironica e interlocutoria di questo suo nuovo film, un confronto con il pubblico e la stampa da parte di Maresco non sarebbe stato certo occasione inutile.
A VENEZIA LA MAFIA SECONDO MARESCO CHE DISERTA IL LIDO
Eccoci dunque di nuovo a Palermo, alle prese con la ricaduta sociale più bassa della questione mafiosa: la domanda che Franco Maresco si pone verte su cosa sia rimasto della testimonianza di Falcone e Borsellino a 25 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Ma non si tratta di riflettere sul lascito morale e sociale della loro coraggiosa e tragica parabola, quanto sull’eredità raccolta dalla gente qualunque, dai palermitani comuni, quelli che vivono per le strade e in quartieri come il famigerato ZEN. Sempre che un’eredità ci sia, si chiede il regista… E per rispondere alla domanda si fa accompagnare da due guide ben differenti: da una parte c’è Letizia Battaglia, l’ottantenne e ancora combattiva fotografa che da sempre punta il suo obiettivo sulla piaga mafiosa, dall’altra c’è il “mitico” Ciccio Mara, surreale impresario palermitano che organizza spettacoli popolari di neomelodici, già protagonista di “Belluscone”. Franco Maresco si affida a loro per muoversi nelle strade della sua città e capire perché i palermitani ancora oggi rifiutano di parlare e di pronunciare parole chiare e nette contro la Mafia. Letizia Battaglia cerca di opporre l’ottimismo all’ironia e al disincanto di Maresco, ma è costretta ad arrendersi alla realtà dei fatti, quando si trova davanti alla volgarità delle celebrazioni cittadine in ricordo dei 25 anni del sacrificio di Falcone e Borsellino: quasi una sagra strapaesana, dove la dignità della memoria e della denuncia lascia il posto a canti, balli, cortei festanti di ragazzini, discorsi ufficiali assurdi e quasi decontestualizzati. E allora cosa resta da fare a Maresco se non evocare di nuovo lo spettro surreale del protagonista di “Belluscone”? Ecco dunque che entra in scena Ciccio Mira, organizzatore di feste di piazza, alle prese con il suo incredibile progetto di organizzare nel cuore del quartiere ZEN 2 uno spettacolo intitolato “Neomelodici per Falcone e Borsellino”: Maresco come al solito suo lo segue, lo istiga, lo spinge a spiegarsi, a dire parole di condanna della Mafia e lui che glissa, evita, nega, in un duetto patetico e divertente che è la cifra narrativa e stilistica di Maresco sin dai tempi di Cinico TV formata con Daniele Ciprì. Gli artisti di Ciccio Mira, uno più improbabile e ridicolo dell’altro, non fanno di meglio: avvicinati durante le prove non si sbilanciano, si barricano dietro no comment smozzicati, girano alla larga. Lo spettacolo va in scena, il quartiere guarda con sospetto il palco, pochi spettatori si avvicinano, nessuno dà forma a commenti negativi contro la Mafia, tutto si conclude nella farsa che è sin da principio, messa in scena dal regista con provocatoria ironia. Maresco però non si ferma, si spinge anche nel day after dell’evento e continua a pedinare Ciccio Mira, arrivando a tirare in ballo lo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la cui famiglia, rivela provocatoriamente il regista, conosceva quella dei Mira e frequentava gli spettacoli del cinema in cui il padre di Ciccio lavorava come caposala… Un cartoon aiuta a rievocare i fatti che portarono a questi ingressi di favore: sostanzialmente un modo per ringraziare la famiglia Mattarella per non aver accettato il risarcimento dei danni causati alla loro villa dal padre di Ciccio Mira al volante della sua auto. Gioco provocatorio estremo di questo provocatorio documentario in cui Maresco insiste a istigare reazioni, mostrare la faccia surreale della mafiosità, giocare con personaggi ambigui nella loro verità o finzione. La mafia non sarà più quella di una volta, ma il cinema di Franco Maresco sì.
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