Il percorso nella storia italiana che Mario Martone conduce da qualche tempo a questa parte si sposa con l’istinto storico che il Concorso di questa 75ma Mostra veneziana sta abbondantemente dimostrando di film in film: dopo “Noi credevamo” e “Il giovane favoloso”, con “Capri-Revolution” il regista napoletano si spinge ancora una volta nel cuore dei processi di mutamento identitario e culturale del nostro paese, scegliendo la prospettiva dell’esperienza della comune che il pittore tedesco Karl Diefenbach creò a Capri a inizio Novecento. Un piccolo gruppo di persone provenienti da tutta Europa si ritrovò nella natura incontaminata di Capri per dare vita a ricerche artistiche tra pittura e danza, professando un rapporto più organico e spirituale con la natura attraverso il nudismo, la medicina omeopatica e la dieta vegetariana: insomma una scheggia di futuro che alle nostre orecchie risuona come abituale, ma che all’epoca doveva risultare difficilmente comprensibile, soprattutto per la popolazione di Capri.
Martone punta proprio sul rapporto tra questa difformità della comunità guidata dal pittore Seybu rispetto alla cultura del territorio e l’uniformità che l’esperienza di questi artisti dimostrava invece rispetto alla natura incontaminata dell’isola. Un dialogo quasi impossibile, che trova però una inattesa mediazione in una giovane pastorella caprese, Lucia (interpretata da Marianna Fontana, una delle due gemelle di “Indivisibili”), che saprà farsi attrarre del modo di vivere di quella comunità e finirà con l’entrare in osmosi con la loro cultura, facendola propria e mediandola con un senso quasi atavico delle cose della terra e degli uomini che la porteranno infine a prendere una strada tutta sua. Il mondo intanto ha imboccato la strada della guerra, professata con tanto vigore dal medico condotto del paese, portatore di uno spirito positivista che dialoga, sia pur in opposizione, con lo spiritualismo professato da Seybu. “Capri-Revolution” segue queste linee tematiche secondo una struttura molto ordinata, quasi didascalica nella formulazione degli opposti e nella rappresentazione dei differenti ambiti culturali.
Il film tende ad essere un oggetto libero, strutturato essenzialmente sul dialogo tra la composizione precisa, quasi pittorica delle inquadrature e la pulsione quasi materica degli elementi che la compongono: l’acqua, la luce, le rocce, il mare sono i colori sulla tavolozza di Martone, ma il regista non riesce purtroppo a trovare quasi mai un giusto equilibrio. Il film risulta statico narrativamente, fragile nella elaborazione tematica, incapace di seguire le linee di una libertà espressiva che pure dovrebbero presiedere alla composizione complessiva. Martone lavora troppo di testa e di polso sulla materia che ha a disposizione e alla fine si rimpiange che a raccontare una simile storia non sia stato un regista come Bernardo Bertolucci.
cau