A CANNES “PARASITE”, IN CONCORSO LA COREA DI JOON-HO

La Corea come una doppia casa, divisa tra la buona e la cattiva coscienza di un paese che la storia ha diviso tra nord povero e sud ricco: è la parabola che ci consegna Bong Jooh-ho, uno dei più grandi registi del cinema coreano contemporaneo, con il suo nuovo film, “Parasite”, in Concorso a Cannes 72. Una commedia o magari anche un thriller, insomma la storia di una famiglia di disoccupati cronici, che vive in un sobborgo di Seoul, tirando la giornata come può, che finisce per insediarsi nella lussuosissima villa di una ricca famiglia, trovando il modo di farsi assumere. La testa di ponte è il figlio, che grazie alla raccomandazione di un amico, viene preso come insegnante di inglese, riuscendo poi a operare dall’interno affinché il padre venga assunto come autista, la madre come governante e la sorella come insegnante di arteterapia per il pargolo. Come sempre nel cinema di Bong Joon-ho lo schema si basa sulla contrapposizione tra la verità apparente e la verità rimossa, in un gioco drammatico che si offre come un crescendo di tensione parossistica.

Perché più la famiglia parassita diventa funzionale e utile alla famiglia ricca, più la situazione si complica… Diretto con una precisione logica ineccepibile e con una capacità di essere sontuoso e leggero allo stesso tempo, in “Parasite” lo schema metaforico del doppio registro sociale offerto dalle due case si traduce in una evidente raffigurazione della divisione tra Corea del Nord e del Sud. L’occupazione reciproca si tiene sul filo di ciò che viene occultato e il film funziona per accumulo, in un crescendo che appassiona lo spettatore. Ecco uno dei film che ritroveremo di sicuro nel Palmarès finale di Cannes 72.

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