Mentre il Toro e’ entrato in Europa e le ragazze azzurre sono tornate a casa, un interessante articolo di Arrigo Sacchi sulla “Gazzetta”, ha riportato alla ribalta un antico teorema di filosofia calcistica che imperversò già quando il “mago di Fusignano” dominò la scena col suo Milan. Sacchi dal 1987 in poi, ricevuta la fiducia di Berlusconi che lo sostenne anche nei momenti difficili, portò il club rossonero sul tetto del mondo vincendo lo scudetto e poi Coppa dei Campioni, quella Intercontinentate ecc. In azzurro arrivò a un…rigore dalla Coppa del Mondo, perdendo la finale ai penalty contro il Brasile. Ora ci ha ricordato che quei successi erano stati frutto non già di furberie tattiche, ma del merito, del calcio giocato. Verissimo. Noi vivemmo quel periodo da cronisti sul campo e, come disse con ironia Pippo Baudo, fummo i “cantori delle caviglie di Van Basten”, ma in realtà anche di quelle (dal 1982 al 1997) di Pruzzo, Platini, Virdis, Maradona, Serena, Vialli, Signori, Batistuta, Protti e Inzaghi (Atalanta), capocannonieri in quel nostro periodo “televisivo”.
Stimammo e stimiamo Arrigo Sacchi, che per qualche anno mise in pratica la sua filosofia (gioco, meriti ecc.), dandoci la possibilità di far carriera (si fa per dire) e raccontare stagioni irripetibili per il nostro calcio di club. Lui predicava (e attuava) il calcio totale in tempi in cui molti allenatori ne mettevano in pratica uno speculativo. Tutte le cose che dice Sacchi sono giuste, ma bisogna tener conto anche del fatto che il gioco ha fatto, come in tutte le epoche, un passo avanti (o indietro?), insomma è diventato diverso. Lui venne scelto dal presidente del Milan che lo aveva “scoperto” in un bel Parma che vinse a San Siro in Coppa Italia, destando la curiosità e l’interesse del nuovo presidente del Milan che lo preferì al vecchio Nils Liedholm. Sacchi ebbe il merito di convincere Berlusconi a comprare i Gullit, i Van Basten, i Rijkaard, gli Ancelotti che mixò bene con i Baresi, Tassotti, Maldini, Colombo, Virdis, Evani, Massaro, Bortolazzi, Mussi, Costacurta ecc., persuadendoli a giocare quel calcio avveniristico che li portò a vincere tutto. In realtà qualcuno lo prese per pazzo, ma aveva ragione lui, alla luce dei risultati.
Già, i risultati: se non li avesse ottenuti, parleremmo di Sacchi allo stesso modo? Come disse una volta Dino Zoff con la sua cantilena friulana: “Dopo alcuni anni la gente guarda la classifica e ricorda solo le vittorie, non chi ha giocato bene e chi no”. Secondo noi, Sacchi vinse perchè aveva “quei” giocatori (alcuni dei quali sconosciuti, a priori). Oggi il calcio ha assunto una dimensione più internazionale, come i campioni. Il muscolare Ronaldo è unico, come il funambolo Messi: non vogliamo dire che sia tornato l’individualismo, ma che si è allargata la platea e il calcio e i calciatori sono diversi da quelli del tempo di Arrighetto. Non sappiamo se il Sacchi di allora avrebbe vinto anche oggi. Può darsi di sì, ma non ci sono controprove. Oggi i tecnici che vanno per la maggiore (Klopp, Guardiola, Zidane ecc.) dipendono molto dai giocatori che hanno. Non sappiamo sino a che punto riescano a convincere alle loro idee gente famosa e miliardaria più di quella dei tempi del grande Milan, che viene ricordato come una delle squadre più forti di tutti i tempi. Son cambiati avversari e modi di giocare. Parlando del campionato, Arrighetto sostiene che i cambi di Allegri con Sarri, Spalletti e Gattuso con Conte e Giampaolo ecc. porteranno a un calcio migliore nei nostri club.
Può darsi, ma noi ci chiediamo anche chi sarà il primo a perdere la panchina, considerato il “peso” dei risultati. Sacchi è stato un grande, ha vinto con merito, come lui voleva, ma ognuno è prigioniero del proprio tempo. Una volta facemmo notare al grande Silvio Piola che quella Nazionale oggi forse non avrebbe vinto due mondiali, perchè sette passaggi in area (come nella finale con l’Ungheria in occasione di uno dei suoi due gol), non li avrebbero mai permessi agli azzurri e lui si arrabbiò moltissimo, dicendo che lui i gol li avrebbe fatti anche nel 1990, anno in cui lo intervistammo. Può darsi che avesse ragione. Ma il calcio è diverso anche da quello dai tempi di Sacchi e noi non avremmo tante certezze. Anche perchè il Milan non è neanche nelle Coppe. Nella sua filosofia in generale, l’ex tecnico milanista ha ragione. Ma siamo sicuri che i club, che hanno bisogno di soldi, incassi, ecc. preferiscano il giocar bene alle vittorie? Noi saremo contenti di sì, ma ne dubitiamo.
(ITALPERESS)