Quali sono le migliori strategie di diversificazione colturale in risposta ai cambiamenti climatici? E quali le innovazioni nella gestione agronomica in un contesto ambientale alterato dal clima? Di questo si è discusso in occasione del primo Regional Meeting del progetto Diverfarming, che si è svolto presso l’azienda Ferrari (stabilimento di Gariga, Piacenza), uno dei casi studio dove vengono testate la rotazione delle colture leguminosa – frumento duro – pomodoro e la fertilizzazione mediante digestato anaerobico (un fertilizzante naturale derivante dalla produzione di biogas). Si tratta di tecniche impiegate per aumentare il sequestro del carbonio nel suolo, migliorandone in questo modo la fertilità e la biodiversità microbica, nonché per ridurre l’emissione dei gas serra.
La giornata, cui ne seguiranno altre due (a Mantova ed a Cremona), è stata un’occasione di ascolto e di confronto con gli agricoltori, i produttori e i rappresentanti delle amministrazioni locali, che hanno potuto toccare con mano i vantaggi dei metodi di diversificazione delle colture.
Alla visita in campo è seguito un “fishbowl” (letteralmente “la vaschetta dei pesci”, un momento di discussione fra partecipanti e relatori) in cui si è cercato di identificare le migliori strategie per mitigare gli impatti ambientali. Tra queste ricoprono un ruolo rilevante gli approcci agronomici diversificati alternativi alla monocoltura, come ad esempio la rotazione delle colture (avvicendamento temporale di colture diverse), l’intercropping (la possibilità cioè di introdurre colture intercalari tra diverse colture principali) e il multicropping, o coltivazione multicolturale (la coesistenza di colture diverse in una stessa area).
Diverfarming, progetto europeo quinquennale di cui il CREA è il referente per l’Italia ed il Nord-Mediterraneo, mira a costruire sistemi colturali diversificati a bassi input chimici, in grado di garantire la resa delle colture e ridurre gli impatti ambientali, cercando di offrire, quindi, una possibile soluzione alle criticità agro-climatiche.
Il CREA, con i suoi centri di Agricoltura e Ambiente, Cerealicoltura e Colture Industriali e Genomica e Bioinformatica, si occupa nello specifico di valutare gli effetti delle tecniche adottate in aree con condizioni pedoclimatiche differenti sui principali parametri fisico-chimici e biologici del terreno, sulla microbiodiversità e sulle emissioni, individuando, attraverso un modello previsionale, la migliore gestione in termini di conservazione della sostanza organica, di incremento della biodiversità, di mantenimento della fertilità del suolo e di resilienza dell’agroecosistema (cioè la sua capacità di rispondere ai cambiamenti repentini). Gli altri partner italiani del progetto sono l’Università della Tuscia, Barilla e il Consorzio Casalasco.