Il coraggio di filmare, la decisione nel raccontare e il giusto equilibrio tra osservazione e partecipazione: sono le doti del nuovo lavoro che Roberto Minervini ha realizzato, come sua abitudine, nel cuore più profondo dell’America. Secondo italiano nel Concorso di Venezia 75, “What You Gonna Do When the World’s on Fire?” compone, in un bianco e nero che sembra uscito dai reportage fotografici d’epoca, il ritratto di un paese che si trascina da sempre nella questione razziale, andando a scovarla nelle pieghe di quel profondo sud che nel 2017 (quando il film è stato girato) era particolarmente pressato dalle violenze sui neri, dalle proteste e dalle uccisioni da parte della polizia. Seguendo il suo metodo, Minervini è entrato in relazione con le situazioni autentiche, trovando un contatto nelle realtà umane e sociali più critiche, osservando, empatizzando e mettendo in immagini cinematografiche quello che andava vivendo. La scena offerta dal Mississippi è quella estremamente tesa di uno stato dove l’insorgenza del nuovo Ku Klux Klan si andava manifestando nella violenta uccisione di neri tanto quanto negli atti intimidatori.
Il regista allora ha seguito le azioni di protesta, i sit-in e le riunioni di una falange delle nuove Black Panther, che nel finale si ritrovano faccia a faccia con la reazione della polizia davanti al tribunale al quale chiedevano giustizia per l’uccisione di due neri. Allo stesso modo Minervini si sofferma sulle giornate di gioco di due ragazzini neri incontrati nel quartiere durante le riprese, due fratelli, Ronaldo e Titus, il primo più grande del secondo, che appare spaventato da ogni cosa, mentre a casa la madre non manca di raccomandarsi con loro sul comportamento, lo studio e l’orario di ritorno a casa. C’è poi Judy, che non è più giovane e ha una madre che sembra una scultura antica, fragile eppure ancora resistente: lei ha un passato di violenze e droga dal quale s’è liberata, ma ora sta vedendo crollare il suo sogno, investito nell’apertura di un bar, a causa del processo di gentrificazione del quartiere, portato avanti a colpi di affitti lievitati, sfratti e vendite degli immobili ai bianchi. Il tutto è incorniciato nella presenza di un gruppo di neri che tiene viva la tradizione degli indiani del Mardi Gras risalente all’Ottocento, quando gli africani americani non erano autorizzati a partecipare alle parate solenni : una sorta di rimando di Minervini a una spiritualità pagana del luogo, su cui il film si apre e si chiude.
“Che fare quando il mondo è in fiamme?” segue queste storie per descrivere uno scenario problematico ma soprattutto per far emergere la verità umana delle figure che si muovono in quella scena, al di là della contrapposizione razziale. Va detto che rispetto ai suoi lavori precedenti (“Louisiana” e “Stop the Pounding Heart”), qui il regista sembra troppo geometrico, equilibrato, qua e là incline a costruire la scena che pone dinnanzi alla macchina da presa. Resta comunque un enorme talento non solo documentario, ma soprattutto cinematografico, per la capacità di tenere l’equilibrio narrativo, la giusta distanza e la forza emotiva delle scene.
cau