
ROMA (ITALPRESS) – Via libera da parte dei Paesi arabi al piano di ricostruzione per Gaza. La proposta è partita, durante un vertice straordinario tenutosi al Cairo, dal presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi. Gli investimenti per il progetto, denominato “Gaza 2030”, ammonterebbero a 53 miliardi di dollari e si contrapporrebbe alla proposta di trasformare la Striscia in una “Riviera del Medio Oriente” avanzata dal presidente statunitense Donald Trump.
La differenza sostanziale tra le due iniziative sta nel fatto che uno, quello americano, prevedrebbe lo spostamento della popolazione palestinese, l’altro, il piano egiziano, punterebbe invece alla ricostruzione del territorio senza sfollamenti forzati. Dall’ONU, per voce del suo segretario generale, Antonio Guterres, hanno garantito la piena collaborazione soprattutto per l’impegno del mondo arabo a favore di un piano che mantenga i palestinesi nella loro terra.
Il progetto egiziano prevede un intervento su due fasi: la prima, di sei mesi circa, per la messa in sicurezza dell’area, la rimozione di ordigni inesplosi, la costruzione di rifugi temporanei per gli sfollati e interventi iniziali di riparazione agli edifici; nella seconda fase, di quattro anni e mezzo, si concentrerà sulla costruzione di abitazioni permanenti, infrastrutture essenziali, nuove strade, reti idriche ed elettriche. Nel progetto è prevista anche la realizzazione di un porto commerciale, un hub tecnologico, hotel sulla costa e un aeroporto internazionale. Stando al progetto realizzato dall’Egitto con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, Gaza diventerebbe un modero centro economico e infrastrutturale. Per concretizzare il piano l’Egitto conta sul sostegno finanziario dei Paesi del Golfo, in particolare Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Tuttavia, le tensioni regionali e le differenti alleanze politiche potrebbero rallentare l’erogazione dei fondi.
Il piano egiziano rappresenta una sfida diretta alla visione statunitense e israeliana per Gaza. Se da un lato garantisce una ricostruzione senza sfollamenti forzati, dall’altro lascia aperte molte incognite sulla governance della Striscia e sulle reazioni di Israele. Si rischia uno stallo causato dal dubbio su chi governerà Gaza nel periodo post-bellico. Il piano egiziano prevede la creazione di un comitato amministrativo palestinese composto da tecnici e professionisti indipendenti. Il presidente Mahmoud Abbas, leader dell’Autorità Palestinese (AP), ha accolto con favore l’idea dichiarandosi pronto a riprendere il controllo della Striscia con elezioni presidenziali e parlamentari. Israele invece non è d’accordo al ritorno dell’AP a Gaza promuovendo un controllo militare israeliano permanente e appoggerebbe il piano Trump.
E poi ci sarebbe il gruppo Hamas, che governa la Striscia dal 2007, non coinvolto nei negoziati e che posto il proprio veto al piano. Sami Abu Zuhri, alto funzionario dell’organizzazione, ha ribadito che “le armi della resistenza sono una linea rossa e non sono negoziabili”, escludendo qualsiasi ipotesi di disarmo in cambio di aiuti e ricostruzione. Hamas ha anche chiesto ai leader arabi di “contrastare qualsiasi tentativo di deportazione forzata dei palestinesi” e di respingere il piano statunitense, considerato una minaccia alla sopravvivenza della popolazione di Gaza.
Nel frattempo, il conflitto sul campo non si è ancora risolto, e le divisioni tra le fazioni palestinesi, il blocco di Israele e l’incognita dei finanziamenti potrebbero complicare ulteriormente la realizzazione di Gaza 2030.
– foto IPA Agency –
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