di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Ora che si è svolto uno sciopero che più che generale si può definire particolare, per le modalità scelte, per la disunità ricercata, per essere stato effettuato senza aver preparato confronti con le altre parti sociali né con il governo, ora che si fa? Si continuerà a ripetere che l’economia, la società e i salari vanno male? Temi di tale portata necessitano di una posizione responsabile, non di scarica barile, una posizione dialettica ma saldamente ancorata alla realtà economica. A meno che non si intenda saccheggiare ancora la spesa pubblica e fare debito con l’assistenzialismo fine a se stesso. No, questo no. Non è degno delle organizzazioni del lavoro con un glorioso passato. Esse hanno storicamente concepito il miglioramento dei salari, dei contratti collettivi, dei servizi sociali, subordinandolo all’avanzamento dell’economia. Si avanza quando fattori come tasse, istruzione, formazione e università, energia, infrastrutture materiali, immateriali e logistica, e tutti gli apparati pubblici sono orientati all’efficienza per rendere competitivo il Paese. Allora, più che scioperi sospettati di interesse di parte, serve ripristinare il modo di operare storico del sindacato confederale. Mai ribellistico, mai astratto, mai privo di proposte interessanti anche per imprenditori e per i migliori della politica e delle istituzioni.
E poi, che dire della delicata questione della conciliazione del diritto sacrosanto di sciopero con l’altrettanto diritto alla salute e alla mobilità dei cittadini? Il sindacalismo confederale ha sempre ripudiato il corporativismo, figuriamoci il ribellismo populista. Il cittadino è contemporaneamente lavoratore; certamente non desidera crearsi problemi. Ma è importante sottolineare che non ha alcun interesse all’isolamento: ha bisogno di solidarietà e comprensione per far valere il riconoscimento dei suoi bisogni. Dunque, è necessario cambiare rotta. Negli ultimi anni, emerge un sindacalismo frammentato e sempre più debole, intrappolato in dinamiche distruttive per un attore sociale fondamentale per l’equilibrio degli interessi e la coesione sociale. Lo sciopero generale, privo di unità e inflazionato nel suo utilizzo, perde progressivamente il proprio potere contrattuale. Rischia di essere percepito come uno strumento politicizzato, alimentando forze che prosperano sulla disintermediazione e sul rifiuto del dialogo. Le lamentele di alcuni leader sindacali sulla scarsa disponibilità delle forze politiche al confronto non tengono conto del fatto che tale comportamento scoraggia i governanti di buona volontà e favorisce coloro che non amano il confronto con le associazioni del lavoro. Anche la divisione del sindacato per settarismo o per anacronistico pansindacalismo rende impraticabile l’unità sindacale, che si nutre di pluralismo. Non si può pensare di affrontare la difficile situazione dei salari disuniti affidandosi alla politica per improbabili panacee come i salari minimi, o ai temi degli orari e degli ammortizzatori sociali. In definitiva, uno sciopero al giorno non risolve i problemi, ma rischia di aggravare le difficoltà del mondo del lavoro e dell’intero Paese. Solo un sindacato capace di rinnovarsi, ritrovare la sua unità nella collaborazione e nel confronto serio e costante con imprenditori e governanti, potrà tornare a giocare il ruolo idoneo per migliorare l’economia e il lavoro.
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