di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Settembre si avvicina e già sentiamo proposte su come organizzare la spesa pubblica, ovvero come impiegare i soldi pubblici. La spesa consolidata è considerevole, e il desiderio della politica è sempre portare “nuovi doni”. Tuttavia, dobbiamo sperare che lo spirito di diffidenza del troiano Laocoonte verso i doni cresca, per evitare i tanti cavalli di Troia disseminati nel tempo. Questi, schermati da necessità complesse, hanno fatto crescere il debito pubblico a tremila miliardi, con un costo annuo di circa 90 miliardi di interessi. La spesa pubblica, purtroppo, non è al riparo dalla dissipazione, orientata com’è in innumerevoli direzioni, spesso mossa da dinamiche prive di visione. Ed intanto il mondo è in subbuglio, le vecchie certezze si sgretolano, la competizione per la conquista dei mercati aumenta e ci trova impreparati. I ritardi sono così grandi da richiedere sforzi importanti che in altre difficoltose epoche, tutto sommato, ha trovato forze politiche e realtà vive del Paese pronte a collaborare ed a concentrarsi sulla cura degli interessi vitali.
Anche in questi frangenti avremmo bisogno dello stesso sforzo comune pur di sottrarci allo scontro autodistruttivo orientato verso il nulla. Si stanno così dissipando energie, e quello che è preoccupante che la stesse èlite intellettuali sembrano incapaci di porsi fuori dal contrasto che divide il paese. Eppure bisogna sperare in un sussulto della classe dirigente più consapevole della posta in gioco, per rimettere al centro dell’agenda del paese un programma di medio-termine che possa invertire il modo di decidere la spesa pubblica e i punti di forza delle nostre entrate economiche. Cessare la politica assistenziale dei bonus finanziata ancora dal debito per esigenze elettoralistiche, e sostituirla con la riduzione del debito e dunque di fette della spesa per gli interessi è la scelta ormai non più procastinabile. Abbiamo oltrepassato da tempo i limiti della sicurezza per il Paese e credo che i migliori politici presenti in ogni schieramento, per la loro popolarità ed affidabilità dovranno investire sulla responsabilità della dedizione agli interessi generali. E’ necessario aumentare le entrate ed allora occorre fortificare i fattori dello sviluppo: energia, fisco, infrastrutture e logistica, giustizia e istruzione. Sulla education, ad esempio, bisogna concentrarsi per rivederla da capo a fondo. Rivedere programmi, formazione a tappe forzate dell’attuale docenza e selettività rigorosa sulla assunzione di nuovi docenti.
Cambiare anche fortemente il rapporto con le accademie e le imprese, con lo scopo di recuperare le distanze gravi evidenti che ci vede deficitari rispetto alle nuove conoscenze. Gran parte dei nostri handicap odierni di competitività dipendono principalmente da questo tema. Il mezzo milione di qualifiche alte e medio alte introvabili nel mercato del lavoro è il sintomo più evidente dello scollamento con la modernità e con le esigenze più preziose ed impellenti delle produzioni e dei servizi. Lo scivolamento verso produzioni meno qualificate si nota già da tempo dalla composizione occupazionale degli ultimi anni e dai salari. Abbiamo bisogno di giovani preparati per l’uso intensivo delle nuove tecnologie applicate alle produzioni, che aumentano la produttività e la competitività delle aziende. Attualmente, ci sono mezzo milione di posti di lavoro ad alta qualificazione non coperti, e questo dovrebbe preoccupare tutti coloro che comprendono che i nuovi posti di lavoro derivano dalla produttività di quelli già esistenti. Il documento finanziario che verrà discusso in autunno dovrebbe considerare questi aspetti basilari per il governo del Paese, sarebbe davvero un servizio al paese trovare convergenze tra maggioranza ed opposizioni e comunque confrontarsi sul rigore economico anziché concorrere con la demagogia.
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