Usa 2024, Corte Suprema “accelera e rallenta” per Trump e Biden teme il Super Martedì

di Stefano Vaccara
NEW YORK (ITALPRESS) – Quando vuole la Corte Suprema sa come accelerare le sue decisioni: a 24 ore dal Super Martedì elettorale (si vota alle primarie in 15 stati per i repubblicani e 16 per i democratici), ha rilasciato la sentenza che permette a Trump di rientrare da candidato anche alle primarie nel Colorado, dove fra poche ore si vota.
La Corte Suprema del “Mountain State” aveva escluso l’ex presidente lo scorso 19 dicembre basando la sua sentenza sulla sezione 3 del 14° emendamento della Costituzione, che vieta a coloro che in precedenza hanno ricoperto incarichi pubblici ma in seguito si sono impegnati o hanno favorito un’insurrezione, di assumere incarichi federali. Secondo la denuncia contro Trump, il 45esimo presidente avrebbe intenzionalmente organizzato e incitato una folla violenta ad attaccare il Congresso degli Stati Uniti nel tentativo di impedire il conteggio dei voti elettorali espressi a favore di Biden.
Lunedì mattina invece tutti e 9 giudici supremi (quindi non solo i 6 nominati da presidenti repubblicani, ma anche le tre donne liberal nominate da presidenti democratici) hanno deciso a favore di Trump bocciando la decisione della Corte Suprema del Colorado e di conseguenza, bocciando anche le decisioni già avvenute in altri stati (Maine e Illinois) di escludere Trump.
I giudici supremi hanno deciso che nessuno dei 50 stati può escludere un candidato a causa del 14esimo emendamento se prima non ci sia stata una decisione al riguardo da parte del Congresso.
La decisione della Corte era aspettata, infatti se fosse stata differente avrebbe creato il caos sulle elezioni presidenziali americane. Inoltre alla lettura “letterale” del 14esimo Emendamento, più che impedire la “candidatura”, si concentra sull’entrata in carica (“hold any office”). Cioè, se il caos avverrà dopo un’eventuale vittoria elettorale di Trump, potrebbe accadere al momento del suo insediamento, soprattutto se in uno dei processi penali l’ex presidente fosse condannato rendendo palese il reato di “insurrezione”.
Ed è qui, su un altro processo potenzialmente molto più decisivo per le sorti di Trump, che la Corte deve ancora decidere: verificare se sia immune da procedimenti giudiziari con l’accusa di aver complottato per ribaltare i risultati delle elezioni del 2020.
Per questa decisione il calendario della Corte si sta sviluppando con “sospetta” lentezza rispetto al caso del Colorado. I giudici hanno impiegato 16 giorni dopo la richiesta d’urgenza di Trump in merito all’immunità decidendo di fissare le discussioni sette settimane dopo, a partire dal 22 aprile. Nel frattempo la Corte ha mantenuto in sospeso il processo preparato dal procuratore speciale Jack Smith, che originariamente sarebbe dovuto partire il 4 marzo.
Ora per il Colorado la Corte è stata puntualissima e ha deciso entro un mese dall’udienza delle argomentazioni. Una volta fissate a fine aprile le udienze per il processo in cui Trump è stato incriminato dal procuratore Smith, potrebbe arrivare alla decisione a fine maggio. Su questa decisione è previsto che Trump perda – è già stata forte la sorpresa quando la Corte ha preso in considerazione il caso, perché è effettivamente ridicolo poter sostenere che da presidente Trump “possa sparare a chiunque sulla Quinta Avenue” senza dover rispondere penalmente – e secondo un tentativo di calendario previsto dai maggiori media americani, dopo i procedimenti preliminari, il processo stesso potrebbe aprirsi a fine settembre, a sole poche settimane dalle elezioni di novembre. Una corsa contro il tempo che Trump vorrebbe rallentare il più possibile e che i giudici supremi – almeno quelli da lui nominati – in questa fase hanno dato segnali di volerlo aiutare. Ma potrebbero questi posticipare la loro decisione a tal punto da demolire quello che rimane della “neutralità” e quindi credibilità della Corte Suprema?
Il conto alla rovescia che si conclude il 5 novembre va avanti e il Super Martedì si preannuncia giornata trionfante per Trump, favorito in tutti gli stati dove si vota e che potrebbe martedì notte far gettare la spugna all’ex sua ambasciatrice all’ONU Nikki Haley in caso di bruciante sconfitta, ovvero se il suo consenso scendesse sotto il 20% (ma intanto l’ex governatrice della Sud Carolina domenica ha vinto la sua prima corsa nel distretto di Columbia della capitale Washington).
A differenza di Trump, che canta già vittoria sui suoi social, il Presidente Joe Biden deve attendere con una certa apprensione il super martedì che coinvolge stati fondamentali come California e Texas (si voterà anche in Alabama, Alaska, Arkansas, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Utah, Vermont e Virginia e i democratici anche nel territorio americano di Samoa e il caucus in Iowa). Infatti il cosiddetto voto di protesta “uncommited” esploso in Michigan la settimana scorsa (quasi il 14%), potrebbe avere effetti contagiosi, soprattutto negli stati con grandi campus universitari di giovani arrabbiati con la politica della Casa Bianca che ha finora impedito con i veti all’ONU di imporre un cessate il fuoco a Israele su Gaza. Non è un caso che la vice presidente Kamala Harris, a poche ore dal super Tuesday, si è espressa con forza a favore del cessate il fuoco e “sgridando” Israele per aver ostacolato il flusso degli aiuti umanitari per i civili palestinesi. Mentre Giorgia Meloni era seduta sorridente venerdì accanto a Joe Biden nell’ufficio ovale, la politica estera era ormai diventata una zavorra per la rielezione del 46esimo presidente degli USA. Senza il supporto di quella fascia di elettori sotto i trent’anni che risultarono determinanti per la vittoria di 4 anni fa, Biden non avrebbe chance nella sfida con Trump, così come contro qualsiasi altro sfidante.
-foto Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).

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