ADDIO A BERLUSCONI, IL PRESIDENTE DELLE VITTORIE

L’addio di Silvio Berlusconi vale, per l’imprenditoria sportiva, quello di Gianni Agnelli e Enzo Ferrari. Il Signore di Torino aveva due aziende – la Fiat e la Juventus – e un solo soprannome, l’Avvocato; Ferrari – sempre in ambito automobilistico – era l’Ingegnere, il Commendatore, il Drake, il Vecchio; Berlusconi era tutto: il palazzinaro, il Cavaliere (il Cav), il Presidente, il Leader, al vertice della popolarità sportiva, politica e imprenditoriale diventò semplicemente Silvio. Quando l’ho conosciuto era l’audace innovatore della televisione che dalle sperimentazioni locali era balzato a livello nazionale: Lui contro la Rai. E fu proprio l’avventura calcistica a metterlo in particolare evidenza quando nel 1981 lanciò con Canale 5 la Coppa Super Clubs o Coppa Supermondiale Clubs che chiamammo Mundialito, un torneo calcistico a inviti che si svolse in tre edizioni – fino al 1987 – vinto una volta ciascuno da Inter, Juventus e Milan. A quei tempi gli chiedemmo se pensava di scendere in campo, e con quale squadra: ci disse di aver trattato inutilmente con Fraizzoli l’acquisto dell’Inter. “Per papà” – si giustificò anni dopo quando diventò padrone del Milan. E dedicò al padre nel ’91 un Trofeo precampionato che ebbe successo dal 1995 al 2012, quando l’avversaria del Milan era quasi sempre la Juventus; la sfida tra rossoneri e bianconeri andò in scena a San Siro in diciannove delle ventiquattro edizioni complessive, solo due volte l’Inter (1992 e 2015), in tre casi squadre non italiane: Real Madrid (1993), Bayern Monaco (1994) e gli argentini del San Lorenzo (2014). La vicenda pallonara rappresentava il secondo passo importante per il Berlusconi signore dell’edilizia e della tivù, deciso il 10 febbraio del 1986 quando – accompagnato dal fratello Paolo, da Fedele Confalonieri e Adriano Galliani – acquistò il Milan da Giussy Farina e Gianni Nardi, diventandone presidente il 24 marzo. Nel pacco c’erano anche Gianni Rivera e Nils Liedholm, ai quali presto rinunciò. Prima di inaugurare la stagione rivoluzionaria di Arrigo Sacchi, nel 1987, la squadra fu affidata a Fabio Capello che tornò nel ’91 cogliendo risultati eclatanti – 4 scudetti, 3 Supercoppe Italiane, 1 Champions League e 1 Supercoppa Europea – esaltando la popolarità del Cav. Che decise di fare un altro passo…storico. Che mi fu anticipato quando, incontrandolo a Milano, gli chiesi come aveva preso la sconfitta nella Coppa Intercontinentale giocata a Tokyo senza il suo pupillo Dejan Savicevic. Era il 13 dicembre del ’93 e Berlusconi mi disse: “Mi consenta, lasciamo perdere il calcio, ho appena parlato con Bossi e mi ha detto che se scendo in politica la Lega mi segue”. Feci uno scoop. La famosa discesa in campo avvenne in forma ufficiale il 26 gennaio 1994 e fu resa nota con un messaggio televisivo di 9 minuti dedicato dal Cav agli italiani che da quel giorno seguirono numerose le sue imprese – più politiche che calcistiche – fino a portarlo ai vertici del Governo con il partito che aveva fondato unendo sentimenti patriottici di natura sociale, sportiva e politica: Forza Italia. Afflitto da numerose vicende giudiziarie un giorno mi richiamò allo slogan del suo combattuto secondo scudetto vinto “contro gli avversari, contro la sfortuna, contro l’invidia”. E aggiunse: “Tema soprattutto l’invidia, porta iella”.

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