ROMA (ITALPRESS) – “La cyber sicurezza viene venduta oggi come una novità ma non è così, io me ne occupo a tempo pieno dal 1987”. Così Umberto Rapetto, generale in congedo della Guardia di Finanza ed esperto di cybersecurity, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress. “All’epoca collaboravo con l’Università di Trieste, i computer non c’erano eppure il mio professore, al quale devo la mia scelta di vita, mi disse di occuparmi di computer crime. All’inizio non mi capacitavo di come potesse esistere un tale fenomeno, poi ho comprato un computer e ho cominciato a capire come funzionava e cosa avrebbe scelto o fatto un criminale con un macchinario del genere – racconta Rapetto -. Dovevo seguire il processo di immedesimazione dei soggetti che sfruttavano la velocità di quell’oggetto tecnologico, oltre al potenziale dell’estensione geografica. Piano piano ho imparato a interpretare il loro linguaggio”. Secondo quanto riportato dal generale in congedo, l’hacker è una persona sportiva. “Con alcuni di loro ho maturato un rapporto di confidenza e stima. Quando sono entrato nella Guardia di finanza, l’obiettivo era dare la caccia agli evasori fiscali e avevo inventato un nuovo metodo investigativo, adeguato ai nuovi strumenti che gli evasori avevano a disposizione. Con il computer cominciavano a cancellare i file e così misi su una piccola squadra per recuperare quei dati. Così è nato l’embrione del Gruppo Anticrimine Tecnologico”.
“Nel 2001 abbiamo catturato gli hacker che erano entrati al Pentagono, alla Nasa, qui in Italia invece si erano infiltrati nel sistema del Senato e avevano colpito la piccola e media impresa, prede facili”, ha proseguito. Per Rapetto, la cultura di difendersi da una minaccia del genere non c’è ancora oggi. “Il furto di dati che stiamo vivendo in questo periodo e che colpisce la proprietà intellettuale e la capacità industriale è una minaccia che non ha una forma. I dati sono il nuovo petrolio, una fonte energetica che può essere arricchita dalle esperienze che i computer riescono ad accumulare”, sottolinea l’esperto. “I cittadini del web sono ostaggio di grandi aziende che riescono a identificare tutte le informazioni sui nostri gusti, le preferenze e le opinioni quindi il mondo politico che vuole disegnare degli scenari futuri e capire quale possa essere il sentimento di chi deve dare il consenso, viene pilotato grazie a quel patrimonio. Si parla di modelli predittivi – spiega -: ricavare da quell’esperienza la prossima mossa in maniera da indirizzare la produzione industriale, gli sforzi commerciali ma anche politici. Nel 2019 Facebook ha subito un attacco informatico per cui sono stati rubati i dati di 533 milioni di soggetti e classificati secondo un carattere geografico nazionale. Tra le tante cartelle ce ne era una chiamata “Italy.zip” che conteneva i dati degli italiani. In un primo momento sembrava che San Marino fosse stata esclusa ma non era così. Con la gendarmeria di San Marino abbiamo proceduto a recuperare le informazioni di oltre 12 mila persone tra cui Ministri e Segretari di Stato e alla fine è stata emessa una sanzione di 4 milioni di euro che per un colosso come Facebook non è molto”.
Rapetto pone l’accento sulle insidie della guerra dell’informazione: “Si tratta di azioni decise sulla base della disponibilità di dati e informazioni che possono portare alla paralisi di qualunque attività, andando a colpire il settore dell’energia, delle telecomunicazioni, dei trasporti ma anche della finanza, mettendo a tappeto qualunque Paese. Il futuro ci impone di saper distinguere il vero dal falso, quello generato da eventi reali e quello che invece è solo verosimile, costruito ad arte da una macchina che raccoglie certe esperienze e così facendo condiziona le scelte di persone che altrimenti avrebbero avuto comportamenti differenti”. Riguardo all’intervento del Governo, per l’esperto “è l’approccio che è sbagliato. È stata creata un’agenzia cyber invece di mettere al lavoro tutte le risorse che si occupano di queste tematiche da anni. Ripartire da capo, quando c’è un gap sconfortante come quello dimostrato da eventi come l’attacco al sistema informatico della Regione Lazio, non è la soluzione. Per fronteggiare gli attacchi ai quali stiamo assistendo andrebbe ridisegnato il modello”.
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