Era l’11 luglio. L’Italia intera credeva ormai in Bearzot, in Rossi, in tutti gli azzurri. Non si poteva che vincere contro la Germania nella finale di Madrid. Out l’infortunato Antognoni? Tutto bene; Cabrini sbagliò un rigore? L’Italia avrebbe vinto lo stesso. Nella ripresa Rossi segnò il suo sesto gol (e fu capocannoniere). Raddoppiò Tardelli e lanciò quell’urlo che diventò il simbolo del Mondiale vinto. Altobelli entrò al posto di Graziani e fece il terzo gol, poi Breitner segnò il gol del 3-1. Pertini non trattenne la propria gioia accanto al re Juan Carlos di Spagna e all’avvocato Sordillo, presidente della Federazione. In finale giocarono: Zoff, Bergomi, Cabrini; Gentile, Collovati, Scirea; Conti, Tardelli, Rossi, Oriali, Graziani (poi Altobelli e Causio). Ma vanno ricordati anche Antognoni e Marini, assenti nella finale. L’Italia impazzì per gli azzurri, per i gol di Rossi (che non avrebbe dovuto giocare, per i moralisti e ne fece in tutto sei) e per Bearzot: “Uno che non ha mai capito di calcio…” come scrisse qualcuno prima dei Mondiali. “Uno che non ha sbagliato una virgola” dopo la brillante vittoria. Gli avversari di Bearzot, zittiti dalla folgorante seconda parte dei Mondiali di Spagna, si ricompattarono e celebrarono il successo, salendo sul carro dei vincitori.
L’Italia, felice, dimenticò in fretta gli insulti al ct e certe malevole allusioni alla coppia Cabrini-Rossi. Vennero santificati quelli che erano stati i diavoli: per esempio l’esordiente Bergomi, “lo zio”, che aveva annullato Rummenigge, che poi sarebbe diventato suo compagno nell’Inter. Dino Zoff, il capitano che aveva risposto con i suoi monosillabi nasali ai giornalisti durante il silenzio stampa, fu immortalato con il presidente Pertini, il riabilitato Bearzot e Franco Causio mentre giocavano a carte sull’aereo di ritorno dopo il trionfo del Bernabeu. “L’impresentabile” Paolo Rossi, capocannoniere del torneo, venne ribattezzato Pablito e rappresentato a perenne ricordo dell’impresa madrilena della Nazionale. Bruno Conti, non era più la scimmia che mangiava le noccioline con Bearzot, ma il “Garrincha di Nettuno”. Anni dopo, nel 1997, in un’osteria di Milano, gli azzurri festeggiarono i 70 anni di Bearzot. Gaetano Scirea, scomparso tragicamente in Polonia era rappresentato dal figlio Riccardo. L’unica nota triste dell’adunata dei campioni del Mondo. Enzo Bearzot soffiò sulle settanta candeline, poi per l’ultimo nostro servizio targato RAI, ci disse che quella del 1982 “era stata una bellissima esperienza sportiva, ma soprattutto umana”.
Ai suoi ragazzi dedicò parole di miele: “Sarete sempre presenti nel mio cuore e nella mia testa”. I “suoi figli” dissero frasi riconoscenti. Tardelli: “E’ stato per me un papà”, Zoff “Se non si offende lo considero quasi un secondo padre”. Pablito confessò: “Se non avessi avuto un allenatore come Bearzot non avrei fatto sei gol ai Mondiale”. Cabrini: “Un uomo, una leggenda”. Conti: “Quando eravamo in ritiro, guai a chi ci toccava le noccioline. Ci chiamarono le due scimmiette”. Oriali, il mediano celebrato da Ligabue in “Una vita da mediano” disse: “Devo ringraziare Bearzot per quello che ha fatto da allenatore, ma soprattutto come uomo”. Un aggettivo di Gentile: “Mitico”. Il ct terminò la sua intervista dicendo: “I nemici non si dimenticano, si perdonano”. Parola di Bearzot. Dopo Vittorio Pozzo, soltanto lui, prima di Lippi nel 2006.
SPAGNA ’82, 40 ANNI FA L’ITALIA CAMPIONE DEL MONDO
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