Viste all’opera le milanesi che hanno trasformato la finale scudetto in un derby, devo riconoscere all’Inter una netta supremazia tecnica e agonistica sul Milan che ho accompagnato fin qui con favore, rispettando il gran lavoro di Pioli. Dopo aver sentito Mourinho – che stimo assai – ringraziare Simone Inzaghi per i tre gol che ha rifilato alla sua Roma, augurandosi di aver contribuito al possibile scudetto dell’Inter, ho cercato di trovare altrove tracce del bel calcio antico che prevedeva – in caso di smancerie del genere – il sollecito arrivo su piazza del mitico inquisitore avvocato Angelini. Per carità, non fraintendete, non evoco dubbi, non chiedo indagini, prendo solo nota di come sia cambiato il calcio, prendendo ad esempio proprio la Roma che in altri tempi era avversaria puntigliosa dell’Inter e oggi la fa da sollecita ancella. Ecco perchè oggi, piuttosto che dedicarmi alla sfida-scudetto, preferisco soffermarmi su due storie di uomini che hanno esibito su campi diversi il peggio è il meglio di se stessi, risultando i naturali protagonisti della domenica. Parlo del Napoli – il peggio – e della Salernitana, il meglio. Gli azzurri sono “protetti” da Spalletti che annuncia (che bravo) di assumersi tutte le responsabilità del crollo di Empoli: questa è una trovata retorica degna dell’uomo di Certaldo, perchè se nella vita degli umani comuni la liberatoria è di solito “siamo tutti assassini ” – come insegnava Cayatte – nella comunità calcistica vale la regoletta “se la squadra vince è merito dei calciatori, se perde è colpa dell’allenatore”. E vissero tutti felici e contenti. E invece no, il Napoli ha fatto globalmente pena come se i suoi giocatori non fossero coralmente desiderosi del successo, appagati di un quarto posto che un anno fa fu bruciato dal Verona e questa volta… (toccatevi, amici napoletani, non resta altra arma). Ricordo, en passant, che dopo quella “sveronata” l’onorevolissimo Gattuso è sparito, caricandosi davvero sulle spalle l’intero peso di quella sciagurata esibizione dei pedatori. Sottolineato – nonostante la mia nota stima per il tecnico – l’errore gravissimo di ritirare Mertens dal campo, tutti gli azzurri – e non solo Meret – hanno contribuito alla sconfitta. (E Spalletti è così andato a sollecitare le antiche rogne con Totti e Icardi che mi auguravo non ripetibili a Napoli…). Dall’altra parte la Salernitana di Nicola, non ancora salva ma meritevole di restare in paradiso, ha mostrato cos’è il vero calcio nell’interpretazione di uomini coraggiosi e di un tecnico che li esalta secondo sperimentato temperamento di condottiero. E siccome possiedo ottima memoria e un buon archivio regalo loro quello che scrissi quando Nicola salvò con rabbia il Crotone, senza agitare la scarpa ma gli animi. Era il 28 maggio 2017: “In tivù mi sono rivisto la storia più naturale, più bella calcisticamente, più esaltante: la salvezza del Crotone sancita dalla sua ennesima performance da campione (in dieci giornate ha vinto più della Juve). Grande festa a Crotone, come se avessero vinto lo scudetto. In trionfo Nicola, l’allenatore che ci ha creduto fino in fondo”.
NAPOLI E SALERNITANA, IL PEGGIO E IL MEGLIO DELLA GIORNATA
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