“Il problema più grosso sono i professionisti: sul territorio mancano quelli della salute, l’assistenza domiciliare non è garantita in maniera adeguata perché mancano le figure professionali”. Lo ha detto Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia di Stampa Italpress. La crisi della medicina del territorio “è frutto di vent’anni di disinvestimento”, ha spiegato Anelli, ricordando che oltre a medici e infermieri ci sono “altri 29 professionisti della salute”. Si tratta, quindi, di “professioni sanitarie organizzate in ordini professionali che sul territorio sono sostanzialmente assenti. È chiaro che oggi – ha evidenziato – un medico non può garantire 29 o 30 competenze. Ha bisogno di lavorare insieme ad altri e di avere gli strumenti. Nella gestione della sanità – ha ricordato – ci siamo trovati di fronte a vent’anni di aziendalismo che aveva come unico obiettivo raggiungere un pareggio di bilancio rispetto alle poste definite dal Mef. Le Regioni che non potevano farlo sono andate in piano di rientro. Abbiamo avuto tagli e riduzione netta del personale perché c’erano tante regioni con il blocco del turnover. Questo ha portato alle conseguenze scoppiate durante il Covid”. Per Anelli quest’anno è stato “difficile, molto complicato. Abbiamo pagato anche in termini di vite umane”, ha spiegato. Però “i medici non si sono tirati indietro e hanno fatto il loro lavoro, con difficoltà. Si sono trovati talvolta – ha proseguito – a dovere decidere chi attaccare a un respiratore, quindi a decidere sulla vita della gente”. Secondo il presidente della Fnomceo “bisogna dare atto a chi ha governato di avere investito sul fondo sanitario nazionale. C’è stata un’inversione, che è avvenuta anche prima del Covid e oggi si sta consolidando”.
“Ci sono state anche le assunzioni. Il vero problema, però, è quello della programmazione. Non abbiamo una precisa programmazione del fabbisogno degli operatori e questo si ripercuote anche sul progetto formativo: le borse di specializzazione non sono in numero adeguato rispetto ai fabbisogni che abbiamo. Se non creiamo bene la programmazione del numero di professionisti di cui abbiamo bisogno non potremo avere una risposta sul piano assistenziale”, ha spiegato. Ci sono pure le risorse del Recovery. “Nove miliardi erano pochi, venti sono già un buon risultato nella sanità. Quei soldi – ha continuato – servono per investimenti strutturali. Quindi da una parte per ammodernare il sistema della rete ospedaliera rendendola più flessibile rispetto ai bisogni che abbiamo” e anche sul territorio c’è necessità “di strutture e strumenti. Quello che ci preoccupa – ha aggiunto – è che nessuno dice da dove prendere i soldi per pagare i professionisti”.
Si parla anche di una riforma del titolo V. “Dobbiamo prendere atto che dopo vent’anni dal cambio del titolo V della Costituzione – ha affermato – non abbiamo risolto il problema delle disuguaglianze. Questo è il tema di fondo di quella riforma”, ha aggiunto facendo riferimento anche alla “previsione costituzionale inserita nell’articolo 2 che impone il dovere di solidarietà tra tutti gli enti dello Stato. Oggi – ha continuato – non abbiamo trovato un modello che consenta al Veneto di essere solidale con la Calabria, per esempio. L’altro tema è la mobilità sanitaria. Non so se bisogna cambiare il titolo V, ma di certo bisogna colmare le disuguaglianze. Chi lo può fare? Lo Stato centrale, non c’è dubbio”. Inoltre, per Anelli, occorre organizzare “reti di professionisti” per “consentire di avere gli stessi standard non facendo muovere i cittadini ma i professionisti”. Per quanto riguarda la vaccinazione, per il presidente della Fnomceo, “abbiamo iniziato malissimo, con un piano approvato dal governo che era coerente con alcuni obiettivi, cioè ridurre la mortalità. Siamo oggi a fine aprile – ha continuato – e ci sono ancora ultraottantenni che non sono stati vaccinati. Questo perché quel piano è stato modificato, in sede locale, ed è stato permesso di vaccinare persone che non avevano la qualifica di sanitari, sociosanitari, né erano ultraottantenni oppure ospiti di Rsa. Questo ha determinato molta confusione. Oggi credo che il generale Figliuolo – ha aggiunto – abbia imboccato una strada che mi sembra più coerente: vacciniamo fragili e vulnerabili seguendo l’ordine di età”. Cosa fare con gli operatori sanitari no vax? “I no vax – ha spiegato – sono quelli che non credono nel vaccino, come gli ingegneri che non credono nella matematica e nella fisica. Non possono fare i medici. Per chi non crede nei vaccini penso che gli ordini debbano valutare la radiazione perché non si può fare il medico senza credere nella scienza. Per chi ritiene che il vaccino non si debba fare come cittadino, credo che questa decisione debba essere salvaguardata. Però se vuole fare il medico – ha concluso – si deve vaccinare per tutelare sé e gli altri”. (ITALPRESS).
Salute, Anelli “Sul territorio mancano i professionisti”
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