Milan primo. Primissimo. Col fiatone ma con merito. Otto vittorie e due pareggi su dieci partite. Più cinque sull’Inter, più sei su Juve e Napoli. Una realtà. Scomoda. Stefano Pioli va dicendo quel che sostengo da tempo: c’è un diversivo critico importante in questo campionato destinato – si dice – a vedere una squadra, una sola, capace di cancellare la noia dei trionfi juventini, ovvero l’Inter; il diversivo si chiama Milan e il fenomeno che lo riguarda è insolito: gli si nega la possibilità di vincere lo scudetto. Perchè non è stato previsto da nessuno che una squadra capace di eliminare la genialità di Giampaolo e le magie di Rangnick potesse esibire una capacità tecnico-tattica degna del primato in classifica. Pioli non ne tien conto, ammette solo che “siamo diventati l’obiettivo di tutti”. Non solo fastidiosi, i rossoneri: addirittura abusivi. Degni, al massimo, del quarto posto – come risulta da un’intervista a Pioli – giusto perchè uno sgabello in Champions, di questi tempi, non si nega a nessuno: visto l’Atalanta? Parola d’ordine, dunque: odiare (calcisticamente) il Milan. Come ai tempi di Berlusconi che nel 2003, dopo il primo scudetto, disse di averlo vinto “perchè più forti dell’invidia, dell’ingiustizia e della sfortuna”. Olè.
“Milan in Hauge”, si è scritto l’altro giorno, riferendosi al ventunenne norvegese protagonista del match di coppa con il Celtic: che però contro la Samp del maestro Ranieri è entrato dopo il vantaggio acquisito dai compagni, ovvero nella fase più delicata (e incerto nello sviluppo del gioco). C’erano Hernandez (23), Gabbia (21), Saelemaekers (21), Tonali (20), Diaz (21), Kessie (23) che porta in vantaggio il Milan su rigore. E Donnarumma (21, è già…invecchiato). Tutti i “nipotini” di Ibra. Ma lui non c’era. Posso dire che dalle rovine di un progetto velleitario (Giampaolo raccomandato da Sacchi, Sarri e Guardiola) è nata la squadra di Simplicio Pioli, il filosofo della normalità? E semplice – a ben vedere – è il suo gioco: palla manovrata con destrezza e velocità, mai sprecata, niente sterile possesso palla, fraseggio corto con rari errori, reparti coordinati, non avventurosi, azioni offensive controllate, difesa energica, all’antica. E quel cambio fra Saelemaekers e Castillejo che finisce in gol (0-2) e in un abbraccio fra il tecnico e i “ragazzi”? Felicissimo. Tutto con grande rispetto di una bella Sampdoria, coraggiosa ma sfortunata, che nel finale ha evidenziato più salute agonistica degli avversari.
(ITALPRESS).