Le aziende che hanno scoperto che il lavoro a distanza produce risparmio investiranno sulle soft skills del loro capitale umano anche se nascosto dietro uno schermo? È uno degli interrogativi aperti nel mondo del lavoro dopo l’emergenza coronavirus. Il Covid ha infatti “costretto” in tutto il mondo molte aziende a fare i conti con il telelavoro e lo smart working, accelerando processi che avrebbero richiesto più tempo. Secondo Andrea Bianchi, docente di Abilità comportamentali al Collegio Universitario Borromeo-Pavia e amministratore unico, trainer e coach di Empowerment Enterprises, “il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che a questa crescita di sapienza sull’uso della tecnologia non sta assolutamente corrispondendo una adeguata crescita di sapienza comportamentale delle risorse umane aziendali, come se il mondo digitale ne potesse fare a meno o addirittura la escludesse per principio”. Bianchi innanzitutto invita a fare ordine: “Si confondono espressioni come smart working, lavoro saltuario da casa, con home working, dove in ufficio non si va mai e che con l’espressione ‘smart’ purtroppo non ha proprio niente da spartire, e si invoca e si adora il moloch dell’intelligenza artificiale e dei suoi algoritmi, ignorandone gli attuali limiti. Qualche voce si alza in favore del detto che “il futuro è il passato”, ma sono voci legate più al piacere sensoriale di non più abituali occasioni dello stare insieme ai propri simili e di godere di spettacoli ed emozioni dal vivo”.
Per il docente universitario “il grande pericolo sociale all’orizzonte è che si creino due classi sociali trasversali, l’una contro l’altra armate: una, numericamente minoritaria che sfrutta al massimo l’opportunità del lavoro a distanza e l’altra fatta da quelli che lavorando invece nel settore manifatturiero e nella maggior parte dei servizi,dovranno essere ogni giorno al loro posto in fabbrica, a scuola, in miniera, negli ospedali, sui palcoscenici, sui mezzi pubblici, nei supermercati o davanti ad un forno per il pane e ai fornelli di un ristorante. Queste strutture, che rappresentano in Italia la assoluta maggioranza, come gestiranno il mix di rapporto salariale, sanitario e sociale con i loro dipendenti nei confronti del Covid 19? Nessuno lo sa o nessuno ne vuole parlare”. “Prima dell’entrata in scena del virus – aggiunge -, il non investire sul capitale umano era considerata una eresia di economia aziendale e far lavorare e allenare attraverso corsi di formazione o percorsi di coaching i propri dipendenti, dai top manager agli addetti alla reception, era un vero e proprio mantra oltre che un obiettivo primario e una voce importante di bilancio per Aziende e Istituzioni di tutti i livelli. Oggi improvvisamente il beneficio economico di un risparmio, peraltro esiguo, indotto dal lavoro a distanza sembra valere più di qualsiasi investimento, compreso quello primario sulle risorse umane. Da quando in qua un risparmio esiguo e generalizzato vale più di un investimento produttivo? Il virus ha forse infettato ogni teoria di economia ribaltandone totalmente gli assiomi più consolidati?”.
Una delle sfide è come essere se stessi attraverso lo schermo. “Le caratteristiche personali di ognuno di noi ovviamente sia da “de visu” che da “remoto” non cambiano – spiega Bianchi -. Ma pensare che basti essere valenti sulla tastiera e che le nostre caratteristiche possano comunque “bucare”, cioè far presa sui nostri capi, sui nostri collaboratori e sui nostri clienti attraverso una relazione digitale senz’anima, è una pia illusione”. E “se poi qualcuno pensasse che lo schermo possa essere una protezione per l’individuo che lo usa, l’ errore sarebbe colossale. La sfida per tutti coloro che utilizzeranno la modalità da remoto nel loro lavoro, nei colloqui individuali o di gruppo e nello studio, è quella di sviluppare una “ipercapacità” di concentrazione e di ascolto”. “La diffusione della modalità di lavoro da remoto non deve far dimenticare ai singoli e alle strutture con cui questi interagiscono, la necessità di intraprendere un percorso similare a quello passato ma innovativo che proponga a chi sta dietro a uno schermo le buone practice da mettere in campo per apparire nella pienezza della propria personalità, come avveniva nella realtà sociale che ci siamo, per il momento, appena lasciati alle spalle – conclude Bianchi -. Allora questo uscire dalla comunità fisicamente e quotidianamente frequentata, non sarà un ritirarsi nella propria stanza per lavorare come fossimo dei primitivi in una caverna , ma una sfida vinta sulla strada che la tecnologia e l’umanesimo devono saper percorrere insieme. Allora sì che il futuro non sarà il passato ma solo un futuro diverso”.
(ITALPRESS).