C’era una volta Morricone. C’era il più grande compositore di colonne sonore di tutti i tempi. C’era, e ci sarà ancora, perché se è vero che la sua vita sulla terra si è conclusa all’alba in un letto di una clinica romana per i postumi di una brutta caduta, è altrettanto vero che la sua musica rimarrà immortale. Per sempre. I numeri della sua produzione artistica sono imponenti, impossibili da eguagliare. Quasi 70 anni di carriera, più di 70 milioni di dischi venduti, ha composto musiche per più di 500 tra film per il cinema e la tv, molti dei quali sono diventati grandi successi internazionali conquistando autorevoli premi. Lui stesso ha fatto incetta di riconoscimenti. Quattro Golden Globe, tre Grammy, un Leone alla carriera, dieci David e undici Nastri d’argento. Prima del 2007 ha più volte sfiorato l’Oscar senza mai riuscire a conquistarlo fino a quando l’Accademy ha voluto rendergli omaggio, consegnandogli la statuetta alla carriera. Quel giorno in italiano brandendo il premio e sollevandolo in aria, si rivolse alla sua amata moglie Maria: “Dedico questo Oscar – disse commosso dinanzi la platea – a mia moglie che mi ama moltissimo e io la amo alla stessa maniera, e questo premio è anche per lei”. La stessa donna, compagna di una vita e sua prima sostenitrice, alla quale ha voluto rivolgere un pensiero, il più dolce di tutti, nel necrologio: “A lei rinnovo l’amore straordinario che ci ha tenuto insieme e che mi dispiace abbandonare. A lei il piu’ doloroso addio”. Un necrologio scritto qualche giorno prima di morire e che principia con quel messaggio diretto al mondo e che il mondo non avrebbe voluto ricevere. Un messaggio che è un pugno nello stomaco. “Io Ennio Morricone sono morto”. Con la sua scomparsa va via un genio creativo, un musicista puro, sublime, versatile, capace di arrangiare i successi di Edoardo Vianello confezionati per i jukebox e allo stesso tempo di concepire sinfonie per il cinema, capolavori unici. D’altronde la musica in Morricone scorreva nelle vene, ne componeva il dna: il padre Mario, originario della Ciociaria, era un trombettista. La sua carriera è stata costellata di tappe importati: i primi studi al Conservatorio Santa Cecilia, poi i primi arrangiamenti per la musica leggera e poi ancora l’assunzione alla Rai che ha rischiato di privarci dei capolavori del maestro. Quando nel suo primo giorno di lavoro gli dissero che le sue musiche, in quanto dipendente del servizio pubblico non sarebbero state trasmesse, Morricone stracciò il contratto che aveva appena firmato.
La Rai perse un impiegato, l’Italia guadagnò un eccellente genio creativo. L’appuntamento con la settima arriverà di lì a poco, con le scritture per le commedie di Luciano Salce, Camillo Mastrocinque, Lucio Fulci. Ma è l’incontro con Sergio Leone che darà una energica sterzata alla sua carriera. Forse è meglio parlare di rincontro, perché con Leone aveva condiviso i banchi della scuola elementare. Il regista gli affidò la direzione di uno dei suoi lungometraggi più noti, “Per un pugno di dollari”. Il risultato fu straordinario tanto da suggellare una duratura collaborazione. Arrivarono quindi “Per qualche dollaro in più”, “Il buono, il brutto, il cattivo”, “C’era una volta il west”, “Giù la testa”. Divenne ben presto il più noto compositore di musiche per film western. Ma la sua produzione non si esaurì con le composizioni nel versante di quel genere molto in voga non solo in Italia ma anche negli States, come gli spaghetti-western. Spaziò dalla commedia al dramma, dall’horror al poliziottesco, dall’epico al thriller. Le sue musiche hanno fatto ridere, riflette, impaurire, commuovere, sognare. Ci siamo innamorati e abbiamo pianto. Le sua musica è un vento leggero che accarezza l’anima. Poeta delle sette note, capace di trascrivere in uno spartito le emozioni concepite per il grande schermo.
Eclettico, duttile, sempre originale. La sua capacità di misurarsi con i generi più disparati gli ha permesso di lavorare con i registi più grandi e diversi tra loro: Bertolucci, Pasolini, Wertmuller, Pontecorvo, Lattuada, Ferreri, Bellocchio, Faenza, Bolognini, Petri, Visconti, Patroni Griffi, Comenicini, Argento. Dagli anni ’80 ha firmato le colonne sonore dei film cult di Carlo Verdone, poi l’incontro con Peppuccio Tornatore, al quale è stato legato dapprima da un sodalizio artistico e poi da una profondissima amicizia vissuta fino agli ultimi istanti della sua esistenza. “Nuovo cinema paradiso” non è una semplice colonna sonora, è un tripudio di note ed emozioni. La sua fama ovviamente ha finito per superare i confini nostrani, conquistando gli Stati Uniti. Ha composto tra gli altri per Brian De Palma (the Untouchables), Oliver Stone (U Turn), Adrian Lyne (Lolita). Due i lavori più noti: in “Mission” di Roland Joffé, e in “The Hateful Eight”, di Tarantino, con il quale nel 2016 ha vinto l’oscar per la migliore colonna sonora. Il secondo della sua carriera. Accanto alla sua attività di compositore per il cinema, Morricone non ha mai abbandonato la sua passione per la direzione. In questi anni, considerato tra i più grandi musicisti contemporanei, ha ricevuto continui tributi e riconoscimenti. A lui è persino dedicato un asteroide. Ennio Morricone, ha raccontato Vincenzo Denaro, il medico ed amico che l’aveva in cura, immaginando l’aldilà si chiedeva con chi si sarebbe alleato una volta andato in Paradiso, se con Beethoven o Mozart. Grande tra i grandi, anche ora che si trova nell’aldilà, dove ci piace pensare continuerà a comporre. A scrivere oltre le nuvole. “Io penso – disse un giorno il maestro -che quando fra cento, duecento anni vorranno capire com’eravamo, è proprio grazie alla musica da film che lo scopriranno”. Morricone credeva nell’immortalità della musica, e noi nell’immortalità del suo genio creativo che ci fa contestare l’incipit del suo necrologio.
(ITALPRESS)
È morto Ennio Morricone
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