Pugliese “la grande distribuzione può aiutare la ripresa”

“Nelle ultime tre settimane, a parità di rete vendita, i consumi stanno scendendo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. E poi il lavoro da remoto. Non è vero che ci avvantaggia. Aumentano i pezzi venduti, non il valore di quello che vendiamo che anzi scende. Se il canale della ristorazione va giù come sta andando ciò è un danno anche per la grande distribuzione. Perchè compra prodotti di qualità, che hanno uno scontrino più alto. Viviamo in un sistema talmente intrecciato che non ci sono vincitori e vinti. Se l’economia va giù perdono tutte le filiere, compresa la nostra”. Così, in un’intervista al Corriere della Sera, Francesco Pugliese, appena confermato alla guida del consorzio di cooperative Conad, diventato leader per quota di mercato nel 2019.

“Sono successe due cose: con le gelate di gennaio e febbraio sono aumentati i prezzi di alcuni prodotti dell’ortofrutta per una carenza d’offerta. E lo stesso si sta verificando sul grano duro – spiega -. Si stanno esaurendo le scorte a livello mondiale. Siamo in fase piena di mietitura, i temporali stanno peggiorando la resa dei raccolti e la qualità degli stessi: sarà inevitabile un incremento dei prezzi dei prodotti come pane e pasta che porterà inflazione”.

Il manager ha partecipato agli Stati generali promossi dal governo dove ha dato qualche indicazione su come rilanciare il settore che rappresenta: “Devo essere sincero? Siamo fermi alle analisi e serve in fretta una diagnosi. Siamo lì col bilancino a immaginare un riequilibrio della filiera agroalimentare senza immaginare che futuro stiamo costruendo e che economia vogliamo per noi e i nostri figli. Su 100 euro di vendita al comparto ne restano solo 5. L’agroalimentare è una filiera storicamente a bassissima marginalità. Meno di 1 euro va all’agricoltura, 1 euro va a noi distributori, 2 all’industria di trasformazione, l’ultimo euro alla ristorazione. Ecco noi dobbiamo far salire questo margine per portare lavoro, investimenti e quindi consumi”.

“Noi – aggiunge – dobbiamo avere un’idea di Paese. Primo: ridurre la tassazione sul lavoro. Abbiamo costi più alti dei concorrenti internazionali. E i redditi per le famiglie sono stagnanti. Ciò si ripercuote sui consumi. La crisi della pandemia aumenta le disuguaglianze. Non possiamo agire solo col narcotizzante dell’assistenzialismo di Stato dei bonus e della cassa integrazione. Chi è in cassa, strumento fondamentale durante l’emergenza, percepisce comunque il 20% in meno e il conto si trasferisce netto sui consumi. Noi invece dobbiamo liberare risorse per gli investimenti delle imprese altrimenti prolunghiamo l’agonia dei lavoratori che alla fine della fase 2 rischiano di uscire dal ciclo produttivo”.

In merito ai soldi del Recovery Fund, “se abbiniamo l’intervento a uno snellimento della macchina dello Stato il risparmio può essere usato per un fisco più equo e redistributivo – sottolinea -. Abbiamo una tassazione light sulle rendite, come gli immobili. È giunto il tempo di una riforma fiscale che riequilibri l’imposizione. I contratti di locazione nella grande distribuzione e nel commercio vanno totalmente ripensati. Qui abbiamo i fondi immobiliari che hanno un rendimento del 9% sul capitale investito basato su contratti che non stanno più in piedi”.

“Noi dobbiamo riattivare le filiere per noi importanti, creando occupazione e investimenti – prosegue -. Siamo un Paese manifatturiero. Pensi all’automotive. Abbiamo il parco vetture più vecchio d’Europa, dobbiamo dare incentivi per la rottamazione di auto euro 4,3,2. Non si può incentivare solo l’elettrico e l’ibrido. La gran parte delle famiglie può spendere meno di 10 mila euro per un’auto. Con questo sistema di incentivi diamo i soldi pubblici al direttore di cooperativa e non alla cassiera”.

Ed in merito all’ecommerce alimentare, dice: “La pandemia ha accelerato una tendenza in atto. Arriveremo al 5% di quota sul totale entro 2-3 anni invece che 5. Ma il servizio di consegna a domicilio della spesa deve incorporare un prezzo aggiuntivo perchè altrimenti il costo diventa insostenibile. Stiamo inevitabilmente investendo in questo ambito, ma spesso mancano anche le professionalità informatiche sul mercato. Occorrerebbe un aggiornamento dei programmi formativi e accademici. Se ne sta occupando qualcuno? A me sembra che le lezioni da casa hanno acuito le disuguaglianze tra chi ha un pc e una connessione adeguata e chi no. Diamo il bonus di 500 euro a chi è alle medie, senza aspettare i 18 anni”.
(ITALPRESS).

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