Mourinho “Milano era casa, andai via per ambizione”

Gc Appiano Gentile (Co) 28/07/2009 - presentazione nuovo acquisto Inter Samuel Eto'o / foto Giuseppe Celeste/Image Sport nella foto: maglie Inter

“Il meglio in carriera l’ho dato dove ero a casa, dove sentivo le emozioni del mio gruppo, dove sono stato al duecento per cento con il mio cuore: più una persona che un allenatore. Mi è capitato di pensare prima a me che agli altri: all’Inter, mai. Questo succede in una famiglia: quando diventi padre, capisci che c’è qualcuno più importante di te, e passi al secondo posto”. Il ‘Triplete’ dell’Inter fu un successo di famiglia per José Mourinho, che in un’intervista a ‘La Gazzetta dello Sport’ ritrova sensazioni e aneddoti di quell splendida cavalcata di dieci anni fa, culminata con i nerazzurri sul tetto d’Europa. “Perché non tornai a Milano con la squadra? Perché se fossi tornato, con la squadra intorno e i tifosi che avrebbero cantato ‘José resta con noi’, forse non sarei più andato via – svela il 57enne portoghese, attuale allenatore del Tottenham con un passato sulle panchine di Porto, Chelsea, Real Madrid e Manchester United – Io non avevo già firmato con il Real prima della finale: chi ha detto che qualcuno del Real venne nel nostro hotel prima della finale disse una cazzata. Prima della finale successe solo che scoprii lo scatolone con le maglie celebrative e scappai per non vederle”. “Io volevo andare al Real: mi voleva già l’anno prima, andai a casa di Moratti a dirglielo e lui mi fermò. Al Real avevo già detto no quando ero al Chelsea, al Real non puoi dire no tre volte. Oggi forse potrei stare 4-5-6 anni nello stesso club, ma allora volevo essere il primo, e sono ancora l’unico, fra gli allenatori, ad aver vinto il titolo nazionale in Inghilterra, Italia e Spagna”. Lo Special One aveva deciso di andare via da Milano “dopo la seconda semifinale con il Barcellona, perché sapevo che avrei vinto la Champions. Moratti l’avevo preparato: senza bisogno di parole, la temperatura del nostro abbraccio in campo gli fece capire cosa volevo. Mi disse: ‘Dopo questo, hai il diritto di andare’. Era il diritto di fare quello che volevo, non di essere felice: e infatti sono stato più felice a Milano che a Madrid”. Una partenza dettata dunque dalla voglia di vincere, non per il ‘rumore dei nemici’: “Cento per cento ambizione. Il rumore dei nemici, che poi piangevano, era bellissimo: era più forte il tremore del rumore, e se ci pensa bene è la stessa cosa: quando c’è rumore è perché c’è paura”.
(ITALPRESS).

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