La paura delle nuove tecnologie (sarebbero 7 milioni i lavoratori che temono un impatto negativo sul loro lavoro: perdita del posto, diminuzione delle retribuzioni, etc.) suggerisce a Censis ed Eudaimon (nel terzo Rapporto sul welfare aziendale) di “enucleare l’idea di welfare aziendale come coaching per il cambiamento: un processo di accompagnamento al cambiamento tecnologico e digitale che parte dall’ascolto dei bisogni dei lavoratori, prosegue con la presa in carico e l’individuazione delle soluzioni, dando ai lavoratori strumenti concreti di sostegno e punti di riferimento stabili”. Ci vuole un “coach” per essere guidati nell’impatto delle nuove tecnologie, ma ci vuole un “coach” anche per trovare le migliori soluzioni ai propri bisogni di welfare. “La soluzione non è il catalogo, anche se si tratta di offerte sempre più ampie e più articolate” sostiene Alberto Perfumo, ad di Eudaimon. È già difficile decifrare e individuare i bisogni personali. Ancora più complicato trovare le risposte più giuste e pertinenti, più personalizzate.
Il welfare pubblico offre risposte standard ai bisogni delle persone, è già si tratta di una giungla di norme, diritti, servizi da “riscuotere”. Ma non c’è più la società di massa. Le necessità si sono fatte nuove e diverse. La personalizzazione è indispensabile, ma richiede un impegno. Per questo il welfare aziendale deve essere innanzitutto un servizio di coaching, per trovare e costruire la soluzione più idonea alla propria necessità di lavoratori e di famiglie. “Il welfare che serve – conclude Perfumo – deve essere personalizzato, partecipato e flessibile”.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).
Ci vuole un “coach”. Welfare aziendale sì, ma personalizzato
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