Le aziende che emettono buoni pasto hanno accettato il rischio: una possibile riduzione del fatturato sul breve periodo, per poter contribuire alla digitalizzazione dell’economia del Paese. Anzi, indirettamente sono state loro ad aver lanciato l’idea che – integrata nella manovra finanziaria di fine anno – dovrebbe diventare norma dal primo gennaio 2020. E cioè: il valore non imponibile dei buoni pasto scende da 5,29 a 4 euro, se si tratta di buoni pasto cartacei, sale da 7 a 8 euro, se si tratta di buoni pasto elettronici, o digitali, come preferisce dire Emmanuele Massagli, presidente di Anseb (l’associazione che raccoglie le quattro aziende più forti del mercato: Edenred, Day, Sodexho, Cirfood), che poco più di un anno fa aveva proposto una modifica di questo genere durante gli “Stati Generali” organizzati dalla stessa Associazione.
Era l’estate del 2018, era appena fallita “QuiGroup”, il secondo operatore del settore (che ANSEB non ha mai voluto tra i propri associati), riverberando sul mercato dei buoni pasto qualche opacità, che solo la tracciabilità assoluta garantita dalla digitalizzazione del voucher, avrebbe potuto fugare. Da qui la proposta di allora, ripresa dalla manovra di oggi: penalizzare i buoni cartacei, valorizzare quelli elettronici. “Per gli operatori potrebbe essere un problema, almeno sul breve periodo – commenta Massagli, con l’orgoglio di chi rappresenta le imprese che hanno avuto il coraggio di lanciare il cuore oltre l’ostacolo – perché potrà capitare che qualche impresa, per pigrizia o per imperizia, preferisca abbassare il valore del buono pasto ai suoi dipendenti, piuttosto che adeguarsi alla digitalizzazione e alla dematerializzazione dei voucher”. Le stime di Anseb valutano che il 60% del mercato dei buoni pasto sia già digitalizzato. Quindi c’è la possibilità (teorica) che il 40% del mercato (a oggi stimato in circa 3 miliardi di euro, tanto è il valore dei buoni pasto emessi ogni anno) finisca per ridursi di un quarto del valore. Quindi ci potrebbe essere un calo del 10% del fatturato complessivo del settore.
Ma gli emettitori hanno accettato il rischio, con una inedita compattezza: oltre alle quattro società associate in Anseb, anche gli altri principali operatori (Repas, Pellegrini, Ep, YesTicket) stanno scommettendo sulla lungimiranza delle 90mila aziende (enti pubblici compresi) che utilizzano questo tipo di benefit per i loro dipendenti. A oggi sono circa 2,4 milioni i lavoratori italiani che dispongono di buoni pasto (1,6 milioni dipendenti di imprese private, 800mila dipendenti pubblici). Il valore del singolo buono pasto è determinato solo dalla scelta dell’azienda, ma ovviamente la grande maggioranza dei voucher ha un valore uguale o inferiore a quello della massima detraibilità. Infatti, il valore medio del circolante è di 5 euro, appena sotto la soglia dei 5,29 euro. La manovra finanziaria ha inserito l’operazione sui buoni pasto all’interno dell’operazione cashless e Anseb aveva proposto la strada della digitalizzazione – prima di vedere adottato il suo suggerimento – proprio per scommettere sulla “conversione digitale” dei pagamenti degli italiani. Un passo verso la nuova frontiera dell’uso massiccio di carte di credito, bancomat, pagamenti virtuali.
Mentre le società emettitrici scommettono sull’evoluzione del mercato e sulla tracciabilità e trasparenza delle operazioni, lo Stato punta di fatto sulla lentezza di questa trasformazione: infatti conta su un gettito di 51 milioni di euro per il 2020 (oltre 56 milioni nel 2021), immaginando che le imprese (soprattutto quelle nelle quali è presente una forte rappresentanza sindacale) non abbasseranno il valore del buono (a 5,29 euro), ma subiranno una tassazione marginale derivante dall’abbassamento a 4 euro della soglia di detraibilità. Proprio per questo, a vantaggio dei lavoratori, ANSEB aveva proposto un rinvio di entrata in vigore della norma al 1° marzo, che pare destinato a non essere accolto. Per i lavoratori difficilmente cambierà qualcosa, se non nelle aziende dove la rappresentanza sindacale non è abbastanza risoluta nel mantenere il livello dei benefit conseguiti. “In realtà noi speriamo che siano molte le imprese che vorranno cogliere l’opportunità di aumentare il valore del buono fino a 8 euro, scommettendo sulla digitalizzazione” commenta Massagli, che aggiunge una considerazione sull’importanza del benefit: “Il buono pasto è il primo step di un processo di welfarizzazione in azienda. Si comincia da quello, per comprendere la necessità di rendere migliore il posto del lavoro per i propri dipendenti, adottando più completi piani di welfare”.
Nel 2015 solo il 30% dei buoni pasto era elettronico, dopo quattro anni la quota è raddoppiata. Nei prossimi tre anni Anseb scommette sulla quasi totalità del mercato digitalizzato. Nella transizione lo Stato lucra, contando sulla lentezza delle Pmi. Le aziende emettitrici dal canto loro assicurano la piena assistenza territoriale, per stendere una rete più stretta che consenta di consumare il buono pasto elettronico, scommettendo su un sensibile spostamento delle emissioni digitali da 7 a 8 euro.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).