Il primo ominide scese dagli alberi 5 milioni di anni addietro, per arrivare a ‘sapiens’ e ‘habilis’ 100.00 anni prima dei nostri giorni. È intuitivo immaginare che la prima visita medica fu fatta in una caverna o in una radura della preistoria, come gli animali: lambire le ferite, liberare dalle spine, bagnare con acqua fredda contro l’arsura della febbre, disimpegnare i più semplici bisogni del parto. Era la ‘medicina istintiva’, nell’alba della specie umana.
Successivamente – anche nell’epoca della medicina teurgica, magica, demonistica, empirica – le pratiche della medicina si incrociarono con la tecnica. Una selce scheggiata per perforare e tagliare pelle e carni malate; antichi attrezzi metallici per la trapanazione del cranio nella medicina egiziana e nella chirurgia greca, romana, medievale e arabo-musulmana. Nel corso dei secoli e dei millenni si sono succeduti: il ‘pulsilogio’ che tastava il polso; il microscopio allora a chiamato ‘occhialino’, l’antesignano del termometro, tutti opera del genio di Galileo Galilei.
Duecento anni addietro Laennec inventava lo stetoscopio, e via via nel tempo si sono succeduti lo sfigmomanometro, gli apparecchi per anestesia, il galvanometro a corda, nel 1893 battezzato da Einthoven ‘elettrocardiografo’, nel 1895 i raggi X scoperti da Röntgen che vinse il primo Premio Nobel per la Fisica, raggi che permisero di vedere l’uomo di dentro, senza dissezioni o amputazione. L’officina delle diversità, con uno sforzo continuo che ricorda il mitico Prometeo. Ricordando un famoso ossimoro potremmo dire: medicina, chirurgia, fisica e tecnica convergenze parallele. Tant’è che nei paesi anglosassoni il medico è chiamato ‘physician’.
Fin dai tempi di Ippocrate la medicina – che egli definiva ‘arte lunga’ – è stata una partica bastata su scienze ed esercitata in un mondo di valori. Il medico consigliava il malato, forse lo guariva, ma sempre lo consolava, con uno sguardo antropologico nei penetrali dell’uomo infermo.
La medicina attuale caratterizzata da continua e crescente rivoluzione tecnologico-digitale – che qualcuno paragona a una navicella verso l’ignoto – pone nuovi problemi e risvolti nei rapporti tra biodiritti, clinica e malato, con sconfinamenti verso derive utopiche.
Bisogna prendere atto dei radicali cambiamenti avvenuti nella professione medica per molteplici cause, tra cui lo sviluppo drammatico della tecnologia, l’ultraspecializzazione, l’espansione dell’informatizzazione e della comunicazione globalizzata, l’impatto dell’economia e del peso delle ricadute finanziarie sempre crescenti nella medicina e nelle scelte del medico, l’aziendalizzazione delle attività sanitarie e l’ingresso della managerialità in scala differenziata, ma pregnante, nell’attività professionale di ogni singolo medico.
Il progresso scientifico-tecnologico della medicina può ridurre l’uomo solo ad organi, cellule, geni e reazioni chimiche. Nella nostra Terra, a conferma di tali possibili derive, il numero di dispositivi intelligenti tecnologici connessi in rete supera quello degli esseri viventi. Appare sempre più necessario il governo umano della tecnica. Le Medical Humanities (MH) permettono di recuperare fondamento umano, sensibilità e spiritualità’ del malato per riconquistare la dimensione olistica del paziente. Le scienze umane sono il ‘respiro della mente’. Il medico non può ridursi a semplice lettore di grafiche e l’uomo infermo non è solo un ammasso di molecole, un ipotetico strumento meccanicistico, che può essere analizzato e trattato per settori autonomi e separabili in base a una ipotizzata e deleteria ‘medicina dei tagliandi’, come un’automobile e i suoi pezzi di ricambio. Bisogna riconoscere al malato lo status di persona, titolare di diritti che intende continuare ad esercitare.
Il medico si trova al centro di una variegata temperie, che non permette di saldare scienza e valori umani. La sfida sanitaria non è solo tecno-economica, ma soprattutto etico-sociale e culturale. La memoria storica diviene sorgente non sostituibile di informazioni. Merita una riflessione l’antico rapporto, ancora insuperato, tra il cittadino infermo, il medico e la società.
Pertanto da più parti si invoca una formazione che promuova l’incontro delle insostituibili caratteristiche umane ed etiche che devono anzi essere preservate e rafforzate, il metodo clinico e investigativo del passato con quelle emergenti caratteristiche e competenze che richiede la società moderna con tutta la sua complessità, le sue innovazioni e le sue continue trasformazioni. In tale contesto si propone di coltivare una serie di valori, tra le quali: ‘empatia con il paziente ed i congiunti’; predisposizione psicologica ad aiutare; contatto umano e fisico con il paziente. ‘Scrivere una ricetta è facile – affermava Kafka – ma ascoltare la sofferenza è molto, molto più difficile’.
Nuovo paradigma della medicina è il benessere spirituale, che è unico per ogni persona. L’uomo ha una dimensione fisica e psicologica, ma anche spirituale, come afferma il concetto dualistico corpo-anima, ove la spiritualità non si riduce solo alla religione.
Anche l’Oms-Organizzazione mondiale della sanità, definisce la ‘qualità della vita’ come percezione dell’individuo e della propria posizione nel contesto dei sistemi culturali, valori e prestazioni sanitarie. Bisogna superare la scissione tra scienza, medicina e cultura umanistica, per tentare una risposta flessibile alle esigenze di una società tecnologicamente sofisticata.
È necessario trovare un gusto equilibrio e una saldatura tra scienza e umanesimo, in quanto il medico si trova sempre più al centro di complesse difficoltà. Pertanto si auspica una formazione che promuova l’incontro tra insostituibili caratteristiche umane ed etiche che devono anzi essere preservate, metodo clinico del passato e sistemi emergenti digitali.
Le ‘Medical Humanites’ sono discipline che offrono un valido aiuto per la comprensione della condizione umana generale di un individuo assistito, oppresso da dolore, ansia, depressione, disperazione. Si fa riferimento a: storia, filosofia, etica, antropologia, sociologia, psicologia, biopolitica, biodiritti, problemi del fine vita, cure palliative, terapia del dolore. Lo studente apprende solo un po’ di deontologia, cioè la dottrina dei doveri, nell’ambito della medicina legale. L’esplosione della tecnologia nei vari settori della società contemporanea – Intelligenza Artificiale (I.A.), Big Data, Robotica, Cibernetica, Genomica – fa entrare la medicina nel post-umano, tant’è che alcuni parlano di ‘Homo Tecno Sapiens’. La tecnologia si deve sviluppare per fornire un supporto utile agli umani, per superare i loro limiti, estendere la comprensione e l’utilizzo di enormi quantità di dati, al fine di arrivare alla medicina delle ‘5p’: predittiva, preventiva, partecipativa, personalizzata, di precisione
Il cittadino apprende i tentativi di creare un’interfaccia tra uomo e computer, attraverso micro-chip inseriti nel cervello, collegati – con fili più sottili di un capello – con il robot, per dialogare e trasformare il pensiero in azione, realizzando il cyborg, l’uomo bionico, con una vera e propria colonizzazione digitale. L’I.A. è diventata una disciplina complessa – nata nel 1956 – con molte sottodiscipline di ricerca, per trovare soluzioni che un agente intelligente deve potere svolgere. Una specie di ‘antropologia sintetica’. In medicina convivere con i robot può esser un’opportunità per divenire più umani, attraverso una dinamica interattiva, che gli sperimentatori hanno denominato ‘empatia artificiale’. Se l’I.A. è ben realizzata si può capire quali valori inserire in tecnoscienze così avanzate, potenti e pervasive, riflettendo sempre sui valori umani fondamentali. La tecnica deve rappresentare un futuro allineato a questi ideali, per troncare eventuali rischi di abusi sugli umani, attraverso l’evoluzione guidata in ‘Human Information Technology’.
Problema ancora insoluto è il rapporto tra creatività umana e I.A., che segmenta il mondo, poi lo riconosce e quindi può manipolarlo sulla base degli algoritmi. Bisogna comprendere e guidare queste straordinarie innovazioni: il ‘Neuralink’, vale a dire lacci neurali che traducono l’attività cerebrale in una rete informatica decifrabile da una macchina; le reti neurali artificiai; la creatività esplorativa, combinatoria e trasformatica digitale.
Oggi la scienza biomedica si fonda su una triade: umanesimo, tecnologia, post-umanesimo. Ancora una vota convergenze parallele. È, pertanto, necessaria un’etica dell’interazione tra uomo e macchina. Uomo, robotica e informatica viaggiano a passi sempre più rapidi l’uno verso l’altro. Dobbiamo metterci a scuola della storia.
L’I.A. non deve fare paura se l’uomo avrà la capacità di guidarla: collaborare, come per il passato, con la tecnologia per comprendere l’orizzonte degli eventi futuri. L’high-tech, su queste basi migliorerà la nostra vita presente e futura.
Ricordiamo il profondo e sapiente ammonimento di Jacques Maritain, capace di rappresentare la bussola perenne nell’arte medica e nel rapporto con il paziente, debole, sofferente, indifeso. L’uomo – affermava il filosofo – non è soltanto un mezzo, ma è ben più un fine. La dignità della persona umana non vuol dire nulla se non significa che, per legge naturale, la persona umana ha il diritto di esser rispettata, è soggetto di diritto e possiede diritti. Vi sono cose che sono dovute all’uomo per il fatto stesso che è uomo.