Sono 35 le persone arrestate dagli agenti della polizia di Stato, nell’ambito dell’operazione “Stella Cadente” che ha stroncato la mafia gelese. Nelle intercettazioni, uno degli indagati, Vincenzo Di Giacomo, affermava che, qualora si fosse profilata l’ipotesi di fronteggiare il clan rivale di Cosa nostra, la Stidda poteva disporre di “500 leoni” armati che avrebbero potuto scatenare l’ennesima guerra di mafia.
I poliziotti hanno eseguito 35 ordinanze di custodia cautelare, di cui 28 in carcere e 7 agli arresti domiciliari. Gli indagati devono rispondere a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, associazione a delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti e detenzione illegale di armi.
L’ordinanza è stata eseguita dai poliziotti del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, della Squadra Mobile di Caltanissetta e del Commissariato di Gela, con l’ausilio del Reparto Prevenzione Crimine e di Unità cinofile di Palermo e Catania e delle Squadre Mobili di Catania, Siracusa, Chieti, L’Aquila, Brescia e Cosenza.
Inoltre, il gip presso il Tribunale di Caltanissetta ha disposto il sequestro preventivo di alcune aziende, il cui valore è ancora in fase di accertamento.
L’indagine ha avuto inizio nel 2014 dopo il ritorno in libertà dei fratelli Bruno e Giovanni Di Giacomo, dopo un lungo periodo di detenzione. I due, una volta scarcerati, avrebbero riallacciato le fila di una fitta rete di contatti con affiliati, vecchi e nuovi, della Stidda gelese, costituendo una doppia anima della consorteria, imprenditoriale e militare, funzionale allo sviluppo di attività criminali nei settori di operatività tipici delle associazioni mafiose che hanno come principale fine il controllo del territorio.
I fratelli Bruno e Giovanni Di Giacomo, “agendo con chiaro metodo mafioso”, è stato sottolineato nel corso di una conferenza stampa dagli inquirenti, sarebbero riusciti a imporre la loro costante presenza nel territorio gelese fino a penetrare stabilmente nel tessuto economico legale avvalendosi d’imprese mafiose, intestate fittiziamente a prestanome, dedite alla distribuzione dei prodotti per la ristorazione e di prodotti alimentari, in quello delle serate in discoteca e nel settore immobiliare.
Le indagini hanno consentito di fotografare, con particolare evidenza, “l’ala violenta del clan – è stato sottolineato dagli inquirenti -, ricostruendo plurime condotte estorsive poste in essere ai danni di commercianti e imprenditori, anche avvalendosi di seriali atti di attentati incendiario diretti ai commercianti riottosi o poco propensi a sottomettersi al loro volere; alcuni di questi stessi imprenditori hanno trovato il coraggio di denunciare le estorsioni subite presso gli Uffici di Polizia grazie al sostegno del presidente dell’associazione antiracket di Gela, Renzo Caponetti”.
Altro settore economico d’interesse degli stiddari è stato quello della costruzione, ristrutturazione e compravendita immobiliare, dove la Stidda si sarebbe inserita ‘attraverso società di comodo, intestate ad un indagato, costituite al chiaro scopo di ripulire il danaro sporco provento delle attività illecite’.
Il clan non avrebbe disdegnato di occuparsi anche del fiorente traffico di droga. La Stidda, secondo quanto accertato dagli inquirenti, ha intessuto rapporti con importanti piazze siciliane dello spaccio come quella di Palermo, Catania e Vittoria, dove sono stati individuati alcuni fornitori e corrieri, ma anche con piazze di spaccio torinesi.
Alcuni degli indagati avrebbero, invece, fornito il proprio contributo alla Stidda per la custodia e l’occultamento sia della droga sia delle armi a disposizione del clan, essendo stati coinvolti nella gestione dei covi stiddari di via Tucidide dove, nel luglio del 2016, furono rinvenuti 13 chili di droga del tipo hashish e marijuana e una pistola calibro 75, e di via dei Mille dove, nel novembre dello stesso anno, furono trovati 52 chili di hashish, un chilo di cocaina e una pistola semiautomatica con matricola abrasa. Un altro covo a disposizione della stidda è stato scoperto in via Solferino.
Simultaneo blitz è stato condotto anche dalla Squadra Mobile di Brescia che, coordinata dalla locale D.D.A., ha accertato la costituzione di un clan mafioso operante prevalentemente in Lombardia e Piemonte del quale fanno parte alcuni esponenti della Stidda, finalizzato principalmente alla commissione di un numero indeterminato di delitti sia in materia fiscale (in particolare indebite compensazioni mediante utilizzo di crediti fittizi) sia contro la pubblica amministrazione (in particolare corruzione di pubblici ufficiali) e a riciclare i proventi illeciti.