ROSSI “IN UNGHERIA STO BENE, L’ITALIA NON MI MANCA”

“Allenare in Italia? Lo dico senza acredine… Non è una priorità per me. All’estero ho trovato la mia dimensione, quando finirò con la Nazionale ungherese probabilmente avrò qualche possibilità in più, va bene così”. Prima l’Honved in Ungheria, poi lo Streda in Slovacchia e adesso la nazionale magiara: l’Italia del calcio ha in Marco Rossi, 54enne piemontese nato a Druento, un degno rappresentante su una panchina all’estero, ma non si è forse accorta del talento di questo connazionale emigrato in Ungheria, disinteressato alla politica, a Orban, a Salvini, ma pronto a dire che l’Ungheria che lo ha accolto “non è un posto di razzisti o dove gli stranieri vengono visti male e io sono un esempio. L’unica discriminazione che fanno, se così possiamo chiamarla, è che prima di accogliere persone vogliono capire cosa vengono a fare” ha detto in un’intervista all’ITALPRESS. Rossi rientra nella fattispecie di tanti italiani che vanno a lavorare all’estero, in questo caso nel calcio, e scoprono nuove dimensioni, più a misura d’uomo. “All’estero c’è più cultura sportiva, i tifosi delle altre squadre mi chiedevano l’autografo o la foto e non mi insultavano. Certo, i budget sono diversi, ma non avendo fatto dei soldi il motivo della mia vita, sono contento lo stesso. Dovesse arrivarmi un’offerta importante, da professionista la valuterei, ma se non arrivasse non sarebbe un problema”.
Un motivo che possa comprensibilmente spiegare tutto questo dovrà pur esserci. “Io riconosco che se questo è successo è perchè ho dei limiti, o quanto meno li avevo perchè con il passare degli anni si cresce. In passato probabilmente ho commesso il grave errore di non mantenere le relazioni e se vuoi lavorare questo è fondamentale. A queste, poi, bisogna aggiungere capacità e risultati”. Rossi arriva all’Honved nel giugno 2012, si dimette ad aprile 2014 per divergenze con la società lasciando la squadra ottava. Torna, a furor di popolo, a gennaio 2015 con la squadra che aveva cambiato tre allenatori ma rischiava di retrocedere e riesce a salvarla. Quindi, segue un anno di transizione antipasto alla stagione dello scudetto che arriva dopo 24 anni di digiuno. Un trionfo anche personale, che lo fa diventare popolare in questo Paese. Un passato da difensore in serie A con Torino, Brescia, Sampdoria e Piacenza e naturalmente anche all’estero con il club messicano dell’America e l’Eintracht Francoforte, oltre che in B e C, Marco Rossi ha allenato in lungo e largo (Lumezzane, Pro Patria, Spezia, Scafatese, Cavese) prima di emigrare ma sempre per caso. “Non ho mai ricevuto proposte per allenare, ho sempre lavorato per coincidenze molto singolari. Al Lumezzane allenavo la Beretti, mi fu data la prima squadra con la prospettiva che a breve si potessero chiudere i battenti. Alla Pro Patria c’era Paolo Tramezzani che parlò molto bene di me al presidente, allo Spezia andai perchè come amministratore c’era Aldo Iacopetti che mi chiamò perchè lo conobbi al di fuori del calcio. Non ho mai avuto una chiamata da un presidente, da un direttore sportivo che fosse interessato a me, che mi facesse un’offerta”.
Ed anche il suo approdo all’Honved è avvenuto in maniera occasionale. “Fino al 2012 avevo avuto delle esperienze in Italia con risultati tutto sommato superiori alle aspettative, ma senza successivi risvolti. Ma dopo l’ultima, a Cava dei Tirreni nel 2012 costellata da tanti problemi di varia natura, decisi che o smettevo o cercavo un’altra strada. Così arrivai all’Honved, ancora una volta in maniera occasionale. Ero a Budapest in visita al mio amico Pippo che ha un ristorante e lui, con mia moglie, mi convinsero a chiamare il ds dell’epoca Fabio Cordella. Non avevo mai chiamato nessun ds, tra l’altro non lo conoscevo, tuttavia mi presentai, ci ritrovammo la sera a cena, mi fissò un appuntamento con il proprietario di allora che incontrai 3-4 volte e poi sottoscrivemmo il contratto. Una cosa fortuita e molto rara nel calcio” le parole di Rossi, che con l’Honved nel 2016-2017 ha vinto lo scudetto – primo allenatore italiano nella storia a vincere un titolo ungherese – ed è stato premiato l’anno successivo con Bordin, Carrera, Conte e Ancelotti tra gli allenatori italiani che avevano vinto il titolo all’estero. Poi l’approdo allo Streda, città slovacca dove vive una minoranza ungherese, ed anche lì soddisfazioni.
“L’anno scorso abbiamo ottenuto il miglior risultato della storia di questo club arrivando terzi e qualificandoci per i preliminari di Europa League dopo tanti anni. Poi, all’inizio del secondo anno, ho deciso di accettare l’offerta della federazione e allenare l’Ungheria”. Appunto, il salto definitivo di qualità arriva quando gli propongono di guidare la prestigiosa nazionale che fu di Ferenc Puskas. “Con la Nazionale il lavoro è totalmente diverso, si fanno 10 gare all’anno, devi selezionare i giocatori migliori, lavorare su testa e tattica. Dà tanta responsabilità in più, tra l’altro l’Ungheria ha fame di successi, si vede quanto la gente voglia vedere la squadra vincere. Questo mi piace e allo stesso mi mette anche pressione”. L’Ungheria è a metà percorso sulla strada verso la qualificazione agli Europei del prossimo anno e con tre vittorie ed una sconfitta al momento è prima in classifica su Croazia, Slovacchia e Galles. “Non abbiamo fatto nulla, ma tutto passa da noi, abbiamo le nostre possibilità di giocarci la qualificazione. Giocare contro l’Italia? Mi farebbe effetto, l’Italia è la mia patria, mi sento italiano e orgoglioso di esserlo, sarebbe bellissimo giocarci contro magari agli Europei”.
Parole al miele per l’Italia di Mancini che con lui “ha cambiato tutto, si è ringiovanita tantissimo, ci sono tanti giovani di prospettiva, ha la possibilità di fare benissimo”, mentre per lo scudetto italiano poche novità perchè “Napoli e Inter si stanno muovendo bene, ma dovendo fare un pronostico adesso credo sarà difficile poter scalzare la Juve”.

(ITALPRESS).

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